Non profit. Le nuove forme delle imprese sociali: una su tre non è una cooperativa
Imprese sociali in crescita (+4,9%) con amministratori più giovani e forme giuridiche diverse dalla cooperativa sociale, ma anche un accordo politico al Consiglio Europeo per adottare la raccomandazione sul Piano d’Azione per l’Economia Sociale. Il Terzo settore si è trasformato in una componente irrinunciabile della vita a livello comunitario e in una risorsa per le istituzioni nazionali attraverso i 115.798 enti iscritti al Registro unico nazionale del Terzo Settore (Runts) su una platea potenziale di 300mila soggetti. «Un dato significativo e in crescita. Sebbene non sia ancora completata, la Riforma sembra aver rivitalizzato il Terzo settore, nella prospettiva del pluralismo e della sana “competizione” tra diverse forme e modelli organizzativi» si legge nel “Rapporto sullo Stato e le prospettive del diritto del Terzo settore in Italia”, curato della Fondazione Terzjus ETS - Osservatorio di diritto del Terzo settore e dell’impresa sociale.
Da questa fotografia del mondo del non profit emergono le “nuove” imprese sociali. «Dopo che nel 2017 è stato approvato il Codice del Terzo settore (Cts), è stato calcolato che siano nate 4.340 imprese sociali su un totale di 20.452 iscritte nella sezione speciale del registro imprese tenuto dalle Camere di Commercio» ha spiegato il presidente della Fondazione Terzjus, Luigi Bobba a dispetto della non crescita, nello stesso periodo, delle aziende profit. Inoltre, le imprese sociali pre-riforma erano per più del 97% cooperative sociali, ora il 27% delle “nuove” imprese sociali ha assunto forme societarie diverse, quali società di persone, di capitali, cooperative non sociali, fondazioni o associazioni. Se prima della riforma, le cooperative sociali erano di fatto l’unica configurazione societaria delle imprese sociali, ora non è più così: nel 2022 le imprese sociali che non sono cooperative sociali sono il 30%.
Si legge sempre nel Rapporto Terzjus che sono imprese giovani, di piccole dimensioni (8-10 addetti), impegnate nei servizi ricreativi, culturali, sportivi e di educazione e formazione; collocate per più del 50% in cinque Regioni (Campania, Lombardia, Sicilia, Lazio e Puglia) e che occupano complessivamente 31.540 addetti. Su più di 11mila amministratori, il 22% ha un’età tra i 18 e i 35 anni, la parità tra i generi è quasi perfetta. Un ulteriore focus riguarda le imprese sociali in forma di società di capitali: circa 1.000 imprese con poco più di 3.500 amministratori che hanno conosciuto negli ultimi anni una crescita impetuosa: il 27% contro il tasso medio del 4,9% di tutte le “nuove” imprese sociali. Sono state costituite da persone fisiche (nel 73% dei casi), ma dopo la riforma si è verificato un incremento dei soci “persone giuridiche” quali le associazioni, società di capitali e altre imprese sociali.
In un Terzo settore che cambia forma a livello nazionale ed europeo restano alcuni nodi legislativi da sciogliere. «Mancano ancora due provvedimenti importanti – ha spiegato Bobba –: il decreto relativo ai controlli e soprattutto la conclusione dell’iter finalizzato ad ottenere l’autorizzazione comunitaria per alcune norme fiscali introdotte con il Cts. Un “vuoto” che lascia nel limbo buona parte delle Onlus e rende ancora incerto l’inquadramento fiscale della generalità degli Ets», senza permettere di completare l’anagrafe del terzo settore. Peraltro, come sottolineato dall’ex sottosegretario al Welfare, nonché anima della riforma stessa, il fatto che non sia ancora possibile il pieno utilizzo delle nuove norme fiscali, poiché soggette ad autorizzazione comunitaria (ancora mancante), di fatto sottrae ogni anno agli Ets circa 60-70 milioni di euro della originaria dotazione finanziaria assegnata alla riforma; così come i titoli alla solidarietà restano bloccati per un cavillo burocratico per citare un altro esempio.
Se molto lavoro resta da fare sulla nostra riforma del Terzo settore, a livello europeo si può però già registrare la vittoria con l’accordo politico sulla raccomandazione sul Piano d’Azione per l’Economia Sociale. Una volta adottata, la proposta impegnerà gli Stati membri ad adottare o aggiornare le loro strategie per l’economia sociale entro 18 mesi, per promuovere un ecosistema favorevole all’economia sociale in tutti i settori. Parallelamente alla proposta, verrà lanciato anche il Portale unico dell’Economia Sociale per facilitare l’accesso alle informazioni ed esempi di buone pratiche, alle risorse e ai programmi di finanziamento dell’Ue a sostegno dell’economia sociale.