Sudamerica. «Noi Mapuche, in lotta per la terra in Patagonia»
Nello sterminato sud argentino restano mezzo milione di indios Mapuche
«Vede quest’acqua? Noi la usiamo per tutto: per lavarci, per bere, per cucinare», dice un giovane Mapuche della piccola comunità Lof nel dipartimento del Cushamen, indicando le rive ambrate del Chubut, il più grande fiume della Patagonia che attraversa le province cordillerane del Rio Negro e del Chubut, «ma da quando la compagnia di Benetton ha deviato il corso del rio per farne un canale di irrigazione per le sue coltivazioni, l’acqua è piena di sedimenti e forse anche di sostanze chimiche. Per Benetton questa terra e quest’acqua sono solo delle risorse da sfruttare ma per noi Mapuche sono la vita». Quella che si consuma sul rio Chubut – già provato dai sempre più frequenti periodi di siccità nella regione patagonica –, è solo l’ultima delle battaglie in difesa dell’ambiente combattuta nel Sur argentino dai nativi. Stavolta, nel mirino c’è il “casato” trevigiano dei Benetton, accusato dai popoli originari di aver occupato i territori ancestrali, con la complicità dello Stato nazionale.
Con la sua Edizione Holding – ex Compañía de tierras Sud Argentino Sa –, la famiglia di Ponzano Veneto è, dal 1991, padrona di 900mila ettari di Wallmapu, il territorio argentino-cileno abitato fin da prima della fondazione degli Stati nazionali dai fieri popoli nativi. Qui, nelle enormi estancias che si allungano per decine di migliaia di ettari ai piedi della Cordigliera, Benetton pratica l’allevamento intensivo di bovini e ovini, coltiva cereali, produce carne, piantuma alberi. Su quei campi, però – denuncia la “gente della terra” (questo significa la parola Mapuche) – loro non possono far pascolare le loro greggi. Inoltre, con la società Minera Sud Argentina, di cui detiene la maggioranza, trae profitto dalle ancestrali ricchezze nascoste.
Si tratta di un tesoro naturale di inestimabile valore che comprende le provincie del Chubut, Santa Cruz, Rio Negro, Neuquén, dove si concentra l’80% delle risorse dell’intero Paese latinoamericano. Per ottenerlo, i fratelli Luciano e Carlo Benetton – noti per le loro campagne sull’impegno sociale e ambientale – hanno sborsato decine di milioni di dollari. Non solo. Secondo i Mapuche, Benetton sarebbe riuscita ad espropriare molti territori indigeni grazie alle leggi ad hoc promulgate dall’allora presidente Carlos Ménem.
«Le nostre comunità sopravvivono in condizioni di grande povertà», racconta al telefono Fernando Jones Huala, fratello del lonco Facundo, la guida della comunità Lof arrestata nel maggio 2016 a Vuelta del Rìo con l’accusa di terrorismo. «Siamo confinati in territori improduttivi, abbiamo problemi d’acqua e di desertificazione. Dal 13 marzo 2015, quando alcuni di noi hanno iniziato a presidiare l’estancia Leleque, una delle asserite proprietà dei Benetton, per avviare il processo di ricostruzione della nazione Mapuche, non abbiamo mai smesso di subire minacce, intimidazioni, denunce, diffamazioni sui media, attività di spionaggio e anche violenze fisiche che hanno coinvolto donne e bambini da parte della Gendarmeria nacional e della polizia privata della stessa Compañía. La mattina in cui hanno arrestato Facundo alcuni agenti sono entrati a casa mia senza mandato, mi hanno puntato una mitraglietta Uzi alla testa e colpito alla schiena, spostandomi tre vertebre». In un blitz del gennaio scorso, 200 agenti di polizia hanno inoltre ferito con proiettili di gomma diversi membri della piccola comunità Lof en Resistencia che occupavano la Ruta nacional 40, arrestandone tre.
«Noi dell’Aadi abbiamo da tempo i telefoni sotto controllo», spiega dal suo ufficio a Comodoro Rivadavia, nel Chubut, Sonia Ivanoff, vicepresidente dell’associazione degli Avvocati per i diritti indigeni: «Le zone dei nativi sono sempre più piccole e militarizzate mentre le grandi proprietà dei winkas, i “miliardari usurpatori” come li chiamano qui, continuano a ingrandirsi. Costruiscono impianti di risalita che deturpano il paesaggio, miniere che distruggono tesori archeologici, privatizzano laghi, montagne, fiumi e restituiscono alla popolazione beni di consumo superflui. A preoccuparci di più è però l’escalation di violenza che parte dalle istituzioni».
I Benetton, più volte contattati dalla scrivente, hanno scelto di replicare con un breve comunicato redatto ormai sette anni fa, in cui accennano ad un’offerta fatta nel 2006 al governo della provincia del Chubut di «7500 ettari di terra di buona qualità da destinare alla popolazione autoctona» e al rifiuto espresso dal governatore per la «presunta scarsa produttività dell’appezzamento». Un rifiuto che, secondo Benetton, avrebbe portato ad una pesante battuta d’arresto nel processo di dialogo nello storico contenzioso tra il popolo Mapuche e lo stato argentino, «in cui il Gruppo Benetton è stato volontariamente coinvolto». Il Premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel, ha preso carta e penna per difendere la “gente della terra”, lanciando forti critiche al governo Macri e alla stessa dinasty veneta. «Il governo difende la proprietà privata utilizzando la repressione e privilegia Benetton sul diritto dei popoli originari», ha scritto il pacifista argentino, «Benetton deve spiegare al popolo italiano e al mondo come si sta comportando negli altri Paesi, e vedere se così facendo trova la saggezza e l’umiltà per agire con giustizia, perché queste terre non appartengono a lui ma alla “gente della terra”. Se li caccia dai loro territori uccide i loro valori, la loro cultura e la loro spiritualità, condannandoli a morte».