Economia

Bes. Nell'Italia in lenta ripresa crescono anche le povertà

Nicola Pini giovedì 15 dicembre 2016

La crisi ha allentato la morsa sull’Italia e il miglioramento ora comincia a emergere non solo dai dati strettamente economici ma anche dal Bes, l’indicatore di Benessere equo e sostenibile, quella sorta di 'Pil dal volto umano' che ormai da quattro anni viene sondato dall’Istat. Ma attenzione, perché quando dal rapporto diffuso ieri si vanno a 'spacchettare' i dati generali, emergono le solite medie di Trilussa, quelle di un Paese spaccato sul piano territoriale e polarizzato nei redditi e nell’accesso al benessere. Il Sud, dove le entrate medie familiari sono del 37% inferiori al centro-nord, resta distaccato. Mentre l’aumento generale del reddito pro-capite (+1% dal 2014 al 2015) non ha ridotto le diseguaglianze sociali, anzi, il divario è «il più alto dell’ultimo decennio». C’è un Paese in ripresa e un altro che ristagna o va all’indietro.

Nel 2015 la quota di persone a rischio di povertà è salita al 19,9% dal 19,4% del 2014, e la povertà assoluta ha raggiunto il 7,6% della popolazione, pari a 4 milioni e 598 mila persone: a stare peggio sono soprattutto le famiglie con due o più figli e quelle straniere. Nel Mezzogiorno il rischio povertà riguarda il 34% degli abitanti, una quota tripla rispetto al Nord. Gli anni di crisi hanno lasciato cicatrici anche sul piano sociale e civile. Nel complesso resta «molto bassa la soddisfazione per le relazioni interpersonali » e scende la «partecipazione civica». Si conferma il sentimento di lontananza di larga parte della popolazione dalla politica e delle istituzioni: la fiducia è minimale verso i partiti ma è insufficiente anche per Parlamento, enti locali e magistratura. Oltre la sufficienza si piazzano solo forze dell’ordine e Vigili del fuoco. Nel complesso sale la sensazione di benessere soggettivo, ma aumenta anche l’incertezza sul futuro. Il dossier prende in considerazione 12 indicatori principali. Nel biennio 2015-16 si registrano segnali di miglioramento rispetto al 2013 (il punto più basso della crisi economica) per quanto riguarda la soddisfazione per la vita, l’occupazione, l’istruzione, la salute e l’ambiente. C’è stabilità nelle condizioni economiche minime, la qualità del lavoro, le relazioni sociali e il reddito. Nel confronto su un orizzonte più lungo, rispetto al 2010, emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione e un recupero completo per l’occupazione. Livelli lievemente inferiori si registrano invece per il reddito, le relazioni sociali e la soddisfazione per la vita. Divari sono ancora rilevanti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro. Nel complesso siamo sopra i livelli medi del 2013 mentre il recupero è ancora parziale nel confronto con il 2010. Scandagliando le diverse aree tematiche il rapporto conferma che l’Italia è uno dei Paesi più longevi d’Europa.

Ma l’aumento delle vita media si è interrotto: nel 2015 siamo scesi a quota 82,3 anni, da 82,6, con un aumento della mortalità nella popolazione anziana. Migliorano gli indicatori relativi all’istruzione e anche per quanto riguarda il lavoro proseguono i segnali positivi (il tasso di occupazione torna a superare la quota del 60% tra i 20 e i 64 anni ma è ancora lontano dal 62,8% pre-crisi e non diminuisce il divario con l’Ue. Si registra inoltre un’accelerazione delle transizioni verso lavori a tempo indeterminato (+4,1%) e una diminuzione della quota di lavoratori 'fortemente vulnerabili' (scesa dal 10,2% all’8,6%). Resta invece costante la quota di lavoratori con bassa remunerazione e tra gli elementi negativi va citata anche la crescita dei sovraistruiti (chi fa un lavoro al di sotto del suo livello di istruzione) che passa dal 23,0% al 23,6% e aumenta soprattutto nel Mezzogiorno. Infine resta alto ma si riduce al 25,7% il numero dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.