Economia

IL FATTO. A Natale più doni per regalare lavoro?

Francesco Riccardi venerdì 7 dicembre 2012
A Natale sobri, ma non troppo. Così ieri su Avvenire abbiamo lanciato la provocazione-riflessione su come andrebbero vissute queste feste sul piano dei consumi. Paventando il rischio che un’eccessiva prudenza e l’ansia da crisi opprimente finiscano per deprimere ancora di più una situazione economica già altamente critica. Con ricadute negative immediate sull’occupazione di interi settori, chiusure di negozi e attività familiari ridotte sul lastrico. Oltre ad accrescere l’attenzione verso le situazioni di bisogno, si sottolineava come i fortunati che in questa tempesta perfetta non hanno visto spazzato via il loro posto di lavoro, coloro che hanno conservato, più o meno intatti, i redditi, dovrebbero continuare a spendere per i regali natalizi. Forse persino aumentare un po’ la spesa per aiutare indirettamente altri lavoratori a rischio. Non certo l’invito a un consumismo sfrenato, ma l’idea che in una pesante recessione come quella che stiamo vivendo possa risultare maggiormente etico spendere i propri soldi per un prodotto che ha dietro di sé il lavoro delle persone, piuttosto che non rattrappirsi nella paura del futuro e accantonare i risparmi (ovviamente sempre per chi ne ha la possibilità). E se al primo posto deve rimanere l’aiuto alle tante persone che hanno perso il loro lavoro, nondimeno in un’economia di mercato si vota anche con il portafoglio e il consumatore può scegliere dove indirizzare il flusso del suo denaro. Aprendo così altri scenari di valutazione: quali consumi possono risultare maggiormente etici? La conclusione della riflessione era dunque che occorresse uno stile sobrio e solidale per questo Natale, badando al vero significato della festa. Ma attenti pure a non farsi paralizzare dall’ansia, stringendo troppo i cordoni della borsa: ne va – anche – del lavoro degli altri. PARLA L'ECONOMISTA STEFANI ZAMAGNI«Ma sotto l'albero vanno messi nuovi beni relazionali e meno prodotti»«È vero: anche i consumi possono avere una dimensione solidale. Purché si guardi alla loro composizione, più che al livello». Stefano Zamagni, professore di Economia politica all’Università di Bologna e già presidente dell’Agenzia per le Onlus, riprende la «provocazione» lanciata da Avvenire sui regali natalizi e il sostegno all’occupazione grazie agli acquisti.Professore, i consumi, compresi gli acquisti natalizi, possono aiutare a uscire dalla crisi e come?Possono aiutare sicuramente, purché non pensiamo semplicemente alla ricetta Keynesiana di aumentare il livello dei consumi per far produrre di più le industrie e quindi far assumere più persone. Perché dal 1929 ad oggi lo scenario è decisamente mutato e se allora le abitazioni dei lavoratori erano spoglie, oggi traboccano di beni materiali. Dobbiamo allora mutare il paniere dei beni di consumo verso cui rivolgerci. Con uno slogan potremmo dire: "Consumare sì, ma consumare diverso".Verso che cosa dovremmo orientarci?Tre categorie: beni relazionali, culturali e spirituali. Pensiamo a quanto spazio economico c’è per lo sviluppo dei servizi alla persona nel nostro Paese. O come potrebbero essere meglio sfruttati e valorizzati i beni culturali in Italia: abbiamo il patrimonio più importante del mondo. E quanto valore aggiunto c’è nella diffusione della lettura dei libri, della produzione musicale di qualità. Anche la produzione di questi "beni spirituali" può avere un’elevata ricaduta economica e occupazionale. Con benefici enormi sulla qualità della vita di tutti i cittadini.Anche i consumi dunque possono essere etici?C’è un modo etico di consumare. Ma prima ancora: dobbiamo distinguere l’atto di acquistare da quello di consumare. Che non necessariamente coincidono: io posso acquistare un bene che poi consumerà un altro. L’esempio della raccolta del Banco alimentare di due settimane fa è illuminante: centinaia di migliaia di persone hanno acquistato qualcosa per donarlo a chi aveva bisogno di consumare quei beni essenziali. O ancora, buona parte delle associazioni non profit finanziano la loro attività vendendo piante, arance, mele e altro che. in tutto o in parte, sono state loro regalate. E il cittadino acquistandole aiuta la ricerca scientifica o la creazione di una cooperativa che a sua volta in Africa dà lavoro, e via così in una catena virtuosa.Questa è la logica del dono. Forse la più adatta, visto che parliamo anche dei regali di Natale...Esatto, la logica del dono dà un senso diverso e pieno a tutto, compresi i consumi. D’altro canto, questi concetti sono ben analizzati ed espresssi da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, laddove ad esempio si parla di «consumatore socialmente responsabile», oppure si mettono in luce le virtù del commercio equo e solidale, del modello di impresa sociale, di tutto quel vasto modo di operare del cosiddetto Terzo settore «che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali, di umanizzazione del mercato e della società».Non è sempre facile orientare i propri consumi verso una dimensione maggiormente etica. Le certificazioni e i rating delle aziende in materia di responsabilità sociale, rispetto dei lavotoratori e dell’ambiente sono ancora a livello embrionale, non largamente conosciuti.Sì, è vero. Colpa anche degli economisti che in genere non valorizzano questi studi e continuano a battere le strade tradizionali dei livelli di consumo. E invece dovremmo valorizzare gli indicatori "etici" anche per promuovere una logica premiale delle aziende. Giacinto Dragonetti nel 1766 scrisse il libro "Delle virtù e dei premi" spiegando come occorresse puntare sul riconoscimento dei comportamenti virtuosi anziché sulla repressione di quelli scorretti (l’anno precedente era stato pubblicato il "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria). Purtroppo quel libro scritto da un cattolico come Dragonetti ebbe grande fortuna allora in Europa, ma in Italia fu presto dimenticato. Oggi dovremmo passare dagli incentivi monetari ai premi che innalzano il valore morale delle imprese.In tutto questo abbiamo dimenticato la sobrietà, d’obbligo in una crisi come questa...Ma per un cristiano essere sobri significa appunto guardare anzitutto a cosa si consuma e con quali "intenzioni". Il miglioramento delle condizioni di vita proprie e degli altri non è certo in contrasto con la sobrietà.