Manovra. Moody’s ci taglia il rating per il super deficit
Moody’s
La voce rimbalzava da un paio di giorni. Alla fine, ieri sera alle 22 e 30, è arrivata la conferma: Moody’s, una delle 'tre sorelle' fra le maggiori agenzie di rating che valutano i titoli emessi da stati e società, ha tagliato la valutazione del debito italiano, portandolo a Baa3 dal precedente Baa2. In compenso, però, l’outlook (cioè le prospettive) è stato portato a 'stabile'. In attesa della riapertura dei mercati di lunedì va detto che, fra tutti gli scenari possibili, è comunque uno dei meno negativi: il declassamento è solo di un gradino (non fino al livello 'spazzatura', per intenderci) e rispecchia valori sui quali il mercato si era almeno in parte già posizionato: guardando la curva dei rendimenti, l’Italia offre già valori da emittente ' sub-investment grade', come dicono gli operatori.
A partire da maggio ad oggi, infatti, i rendimenti dei titoli italiani sono quasi raddoppiati e, ai livelli attuali, è ragionevole che già scontassero un giudizio simile. A pesare, però, sono anche le parole che accompagnano la 'bocciatura'. L’agenzia afferma di aver agito così per il «cambio concreto della strategia di bilancio, con un deficit significativamente più elevato» delle attese. Le possibilità di un’uscita dell’Italia dall’euro sono ritenute ancora «molto basse», ma potrebbero aumentare se le tensioni fra Roma e le autorità europee «dovessero subire una ulteriore escalation ».
Inoltre si imputa «la mancanza di una coerente agenda di riforme per la crescita» Il giudizio è arrivato al termine di una giornata segnata da una sorpresa: alla fine di una settimana molto turbolenta, il tasso dei titoli di Stato decennali italiani è tornato esattamente ai livelli dell’apertura degli scambi di lunedì scorso: era al 3,47% e lì è tornato. Questo dopo avere toccato picchi spaventosi, come il 3,81% a metà della mattinata di ieri, ma anche livelli più rassicuranti come il 3,39% di mercoledì mattina. Se il rendimento dei Btp, terminate queste montagne russe, è tornato vicino al punto di partenza, anche l’itinerario dello spread è stato simile: i centesimi di distanza tra i nostri tassi e quelli dei Bund tedeschi, tornati a offrire rendimenti inferiori allo 0,5%, era a 310 punti e ora è a quota 302. Mentre la Borsa di Milano ha chiuso piatta (-0,04%).
Questa volatilità, comunque la si guardi, è una pessima faccenda, se non altro perché al di là dei recuperi dell’ultim’ora lo spread è oggi il doppio di quanto fosse a inizio anno e questo, tradotto in cifre, significa che ogni volta che va a rinnovare i suoi titoli di Stato l’Italia paga attorno agli 1,5 punti percentuali in più rispetto a gennaio. Ieri mattina la situazione sembrava di nuovo pronta ad andare fuori controllo.
Al punto che anche Matteo Salvini si trovava costretto ad ammettere che «se lo spread arriva a 350 è un problema». Che la situazione sia delicata lo confermano gli aggiornamenti della Banca d’Italia sulla posizione patrimoniale del paese rispetto all’estero. Ad agosto gli stranieri hanno ridotto di 17,4 miliardi di euro la loro esposizione sui nostri titoli di Stato, dopo che a luglio, con un aumento di 8,7 miliardi, i loro acquisti erano sembrati in risalita. Ma non è così: da aprile banche e fondi stranieri si sono liberati di 66,5 miliardi di euro debito italiano.