La polemica. Milano a 30 km/h, una buona idea che servirà quasi a nulla
Guidare in città è già, e diventerà ancora di più in futuro, sempre più difficile e scomodo. Milano ne sta diventando l’esempio più evidente, grazie a una sistematica politica di disincentivo all’uso dell’automobile che ha fatto del taglio degli spazi in cui è possibile parcheggiare (e dell’ampliamento di quelli a pagamento, anche oltre le regole consentite dal Codice) la sua arma più letale. Prima una tassa, quella sull’Area C, per chi vuole entrare in centro con l’automobile, che alla fine penalizza solo i meno abbienti e che non ha portato benefici evidenti, se non alle casse del Comune. Poi - dall’anno scorso - il divieto a entrare in città alle vetture con emissioni inferiori allo standard Euro 5 (Area B) imposto per frenare traffico e inquinamento, che ha colpito in maniera particolare chi non ha le possibilità economiche per acquistare una vettura più moderna. E anche in questo caso senza risultati virtuosi dato che Milano nel 2022 ha visto addirittura aumentare i giorni con alta concentrazione di polveri sottili rispetto anche agli anni pre-pandemia. Ora anche a Milano, dopo Bologna e sull’esempio di quanto accade in molte città europee, arrivano i limiti di velocità a 30 km all’ora in quasi tutte le strade: lo ha stabilito il Consiglio comunale, che ha approvato un ordine del giorno che chiede al Comune di introdurli a partire dal 1 gennaio 2024.
Va detto subito che l’iter di applicazione delle nuove “zone 30” è ancora lungo e complesso. Oltre alla delibera definitiva, occorrerà adattare le infrastrutture segnaletiche e soprattutto dotare molte via di autovelox, non essendo il superamento di questo limite rilevabile (e quindi punibile) dalla Polizia Municipale. Creare una regola senza avere i mezzi per farla rispettare diventa una beffa che in prospettiva pare difficilmente evitabile. Ma lo scopo per il quale è stato ideata, questa volta non può che essere positivamente condivisa. Evitando l’illogica e vergognosamente falsa motivazione “ecologica” che in passato ispirò questa idea (viaggiare a 30 all’ora significa tenere i motori accesi per più tempo per percorrere lo stesso tragitto e quindi inquinare di più, ma qualcuno riesce ancora a sostenere il contrario), è sacrosanto difendere la sicurezza delle persone e diminuire i rischi di incidenti gravi. E’ infatti provato dai dati e dal rapporto ACI-Istat (oltre che dalla logica) che l’elevata velocità è la prima causa statistica dei sinistri, il 70% dei quali avviene in città dove il numero dei morti cresce di continuo, ed è pari al 49,7%, mentre i feriti raggiungono quota 69,7%. E che impattare un pedone o un altro mezzo a 50 all’ora risulta immensamente più traumatico che farlo a 30.
Detto questo, prima di schierarsi dalla parte di chi considera inevitabile e corretto il nuovo provvedimento, o da quella di chi lo boccia puntando sul fatto che rallentare ulteriormente il traffico non sia una grande idea e che – come ha detto il Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili – “Milano è abituata a lavorare, e a farlo in fretta”, forse è il caso di verificare cosa è accaduto in grandi metropoli dove il limite a 30 km/h è già realtà da tempo. Una verifica utile, che avrebbero dovuto fare anche i grandi pensatori che a Milano a colpi di pennello e vernice hanno inventato piste ciclabili dalla larghezza smisurata, scontentando gli stessi ciclisti che le vorrebbero invece più sicure e più lunghe, e gli automobilisti relegati senza alcuna logica in corsie sempre più strette e intasate. Ma imparare a organizzare una viabilità ciclistica andando a vedere come lo ha fatto Amsterdam, capitale delle bici e dove le piste (strette e intelligenti) sono ovunque, evidentemente era troppo faticoso.
Ci permettiamo allora di segnalare quanto sta accadendo a Parigi, dove su forte pressione della sindaca Anne Hidalgo e cavalcando le istanze ambientaliste, le “zone 30” quasi ovunque con la sola eccezione di alcuni viali di scorrimento (nei quali il limite è di 50 km/h) e della tangenziale (70 km/h), sono attive dal luglio 2021. Risultato? Secondo i dati pubblicati da Le Parisien, da settembre 2021 a giugno 2022, gli incidenti in città sono diminuiti del 7,7%, e i feriti del 7,1%. Un miglioramento interessante, che non coinvolge però il numero dei morti per incidenti stradali, che sono addirittura aumentati passando da 29 a 40 (+38%). Qualcuno ha spiegato il fenomeno con la possibile maggior disinvoltura dei comportamenti di ciclisti e pedoni, che sentendosi più protetti dalla nuova regola hanno finito per prestare meno attenzione nei loro movimenti sulle strade.
Quanto alla velocità media in città, a Parigi dopo l’introduzione della norma, è rimasta la stessa (12,9 Km/h) che si registrava in precedenza, a riprova che il provvedimento anche qui è servito a poco e che nelle metropoli incroci, semafori e traffico obbligano a viaggiare comunque a rilento senza bisogno di riduzioni di nuovi limiti. Che a Parigi hanno scontentato tra l’altro anche gli utilizzatori dei mezzi pubblici di superficie, le corse dei quali si sono allungate mediamente di 13 minuti nei viaggi verso le periferie nelle ore notturne, dove prima potevano muoversi più rapidamente.
In sintesi, ben venga qualunque tentativo per diminuire il numero e la gravità degli incidenti: la sicurezza e l’integrità di chi è in strada deve essere sempre e comunque la priorità, anche con provvedimenti che a livello psicologico potrebbero essere importanti come deterrente, o almeno per ricordare quanto la velocità possa essere pericolosa. Ma senza farsi illusioni, e soprattutto senza diventare integralisti di una lotta alle automobili che – se combattuta in maniera illogica ed estremista - limita la libertà di molti e non giova proprio a nessuno.