Economia

Reportage. Mezza Grecia a rischio povertà aspetta il verdetto

Giorgio Ferrari martedì 23 giugno 2015
C’era la carestia a Delfi. Ricchi e poveri si assieparono davanti al palazzo del re. Ma il re sfamò i ricchi e i notabili, agli artigiani e ai contadini poche manciate di granaglie. Ai poveri non restò nulla. Alla piccola Carilla, poverissima, orfana e sola, il re riservò uno schiaffo lanciandole un sandalo sul viso. La giovane si allontanò e poco dopo morì senza che nessuno se ne accorgesse. E a Delfi arrivò la peste. Fa pensare al racconto di Plutarco la Atene di questo D-Day ("D" come default), una giornata di sole, vento e spruzzi di pioggia lieve in attesa che lassù al nord di fronte al sinedrio dell’Eurogruppo, della Commissione, dei severi ministri del culto finanziario come Wolfgang Schaeuble si stabilisse se la Grecia meritava oppure no il suo pugno di granaglie e di sopravvivenza. Un supplizio, un collo eternamente torto, minutaglie di liquidità che la Bce fornisce per assicurare che il paziente comatoso resti in vita e poi di nuovo rimandi, dilazioni, accertamenti, com’è successo ieri, perché il carnet di Tsipras è ancora troppo esiguo, la spunta delle voci da assottigliare, delle pensioni da strizzare, delle aliquote da rimaneggiare non basta ancora, il sopracciglio del Fondo monetario internazionale s’increspa di fronte alla "furbizia ellenica", il sospetto domina questa partita infinita e la ammanta di un rauco squallore: mancano 900 milioni di euro rispetto alle richieste avanzate dai creditori, Atene si dice pronta ad adottare misure fiscali permanenti pari al 2% del Pil a fronte del 2,5% richiesto, lo 0,5% mancante potrebbe essere coperto da provvedimenti dolorosi come una stangata fiscale per i quasi 550 mila agricoltori, il 12% della forza lavoro greca. Anche il turismo piange, e le disdette sono all’ordine del giorno. I governanti europei però credono nell’accordo, questione di decimali, forse stavolta vincerà il compromesso, la pietà. O forse no.Le fredde cifre dei contabili del Nord s’imporporano di vergogna di fronte a quelle drammatiche della Grecia reale. Sei milioni e trecentomila persone, il 58% della popolazione ellenica sono a rischio povertà. «Impiegati, dirigenti, professionisti a migliaia vivono di espedienti – dice Elli Xenou, una delle responsabili del centro "Solidarity" – mangiano nelle mense pubbliche, dormono negli ostelli perché non avevano più i soldi per pagare l’affitto, ogni giorno si presentano da noi famiglie intere di quella che un tempo avremmo chiamato la "middle class" ateniese. Hanno perso casa, lavoro, speranza». «Quelli più colpiti – dice l’avvocato Theoni Koufonikolakou, la cui falsa mitezza si nasconde dietro un’aureola di capelli rossi – sono i giovanissimi: cattiva alimentazione, scadenti cure dentarie, un welfare finito sotto il tappeto, ospedali ridotti quasi alla sola emergenza, medici licenziati, personale decimato. Il comune di Atene assiste ufficialmente 22 mila senza tetto, ma in realtà sono molti di più». Ci sono scene inguardabili. Come all’Hotel Ionis, ultima spiaggia della deriva che ha colpito i ceti più deboli, diventato un dormitorio stracolmo di derelitti accampati anche sotto i portici in pieno giorno e dove trovano rifugio i drop out della capitale, i giovani fumatori di crack, i vecchi sdentati ridotti pelle e ossa, gli alcolisti che ondeggiano come zombie sotto il sole crudele del mattino. Siamo a due passi da Piazza Omonia, dove il giovane Alexis Tsipras mandò in delirio un’Atene in festa la notte vittoriosa delle elezioni. Oggi la piazza è vuota, anonima, banditori di Vodafone e Cosmote si fanno concorrenza per vendere schede prepagate, un anziano sventola "Schedìa", il settimanale dei senza tetto. Costa tre euro, ma c’è chi lo compera. La peste di Atene ha ghermito anche le rare isole di benessere. «Chiedono medicinali contro l’ansia e la depressione – dice il farmacista Nikos Sanizakis, la cui ricca clientela di Kolonaki un tempo non badava a spese e svuotava garrula interi scaffali di prodotti di bellezza o di superflui integratori alimentari – ma ci vuole la ricetta, e poi non hanno i soldi per pagarli. Allora vanno nelle Ong. Questa è una tragedia nazionale, mi creda». Gli ambulatori sociali alla municipalità non sono mai piaciuti. Nella Ong "Medecins du Monde" la polizia ha fatto irruzione perché riteneva si spacciasse droga. «Non ne hanno mai trovata – dicono ridacchiando – è solo che davamo fastidio. Ma questo succedeva prima, quando c’era Samaras. Da quando governa Syriza la polizia non si è più vista. E qualche ansiolitico riusciamo a darlo ai più bisognosi». Anche ieri gli sportelli bancari erano affollati. Code di persone circospette, con falsa nonchalance, come capitate lì per caso. Solo ieri un altro miliardo di euro è uscito dalle casse delle banche elleniche. E altri due miliardi sono stati prelevati fra venerdì e domenica. «Prevale l’home banking – dice un impiegato – i grandi prelievi non si vedono. Ma c’è un tetto: al massimo 3 mila euro al giorno». E anche molta paura che le banche chiudano, che quel "Grexit" agitato come uno spettro diventi realtà, che le mani avare del re smettano di distribuire gli avanzi.Cala la sera sulla città. Allora migliaia di manifestanti si raggiungono piazza Syntagma per chiedere che la Grecia resti nella zona euro. Il D-Day è rimandato, un vento profumato soffia da nord, la collera degli dèi non si è manifestata, le Borse festeggiano e le cancellerie del nord grondano ottimismo. Niente è cambiato per il coro muto di questa tragedia infinita: nei dormitori, nelle stanze nude, agli angoli delle strade, nella dignità offesa dei deboli e dei senza colpa quello di ieri è stato soltanto un giorno come un altro.