Economia

Energia. Meno incentivi alle rinnovabili, Cingolani sbanda

Roberto Petrini venerdì 21 gennaio 2022

Obiettivo: Cingolani. L’ultimo braccio di ferro prima dell’elezione del Presidente della Repubblica ha messo in fase di stallo il governo che di fronte allo stratosferico aumento delle bollette di quest’anno (1.000 euro a famiglia e 30 miliardi in più per le imprese) fatica a trovare la quadra. Il provvedimento si farà e, dopo lo slittamento di ieri, oggi dovrebbe essere la volta buona della convocazione del Consiglio dei ministri. Ma il ministro della Transizione ecologica Cingolani finisce nel mirino dei Verdi.

La strategia anti-rinnovabili. Il dossier- bollette, esaminato in tempi contingentati e sotto il pressing dei rincari, ha portato allo scoperto le carte del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani. Il fisico e dirigente d’azienda, già nel mirino del mondo ambientalista per la sua ri-apertura al nucleare, ha proposto nei giorni scorsi durante un’audizione parlamentare un piano 'strategico' e 'strutturale' per far fronte all’aumento del prezzo del gas che, come tutti sanno, è figlio sostanzialmente del ricatto di Putin all’Europa. Il progetto da 10 miliardi prevede una inversione di rotta nei confronti delle nostre politiche energetiche, di quelle dell’Europa e in parte sconfessa lo spirito del Pnrr. «Cingolani sta andando contromano, così si compromettono gli obiettivi del 2030», ha dichiarato ieri il portavoce di 'Europa Verde', Angelo Bonelli, che ha convocato una polemica conferenza stampa e ha incontrato il leader del Pd Enrico Letta.

Cosa progetta il ministro per la Transizione? Il piano a lungo termine di Cingolani prevede un taglio agli incentivi alle energie rinnovabili, dal fotovoltaico, all’idroelettrico, all’eolico, per 5 miliardi e, oltre a operazioni finanziarie di cartolarizzazione degli oneri di sistema, propone di destinare al caro-bollette circa 1,5 miliardi delle aste per le 'quote di emissione', cioè i permessi di emettere CO2, i cui proventi vengono normalmente indirizzati a combattere i cambiamenti climatici e la deforestazione. Il decreto di oggi dovrebbe avviare questa nuova linea cominciando a dirottare le risorse delle aste verso il raffreddamento del caro energia. Lo 'strappo' di Cingolani, che gli ambientalisti co-minciano a bollare bonariamente come 'cingolato', arriva proprio mentre il governo stava tentando di recuperare affannosamente risorse per la crisi bollette. Infatti, le altre strade per recuperare risorse sono chiuse: lo scostamento di bilancio non si può fare prima del Quirinale e sugli extraprofitti c’è lo stop delle big company.

Braccio di ferro sugli extraprofitti. L’idea di recuperare i 4 miliardi di cui si parla era del governo. Ma individuarli non è facile: Enel ed Erg, ad esempio, hanno detto chiaramente che hanno contratti a prezzi vecchi e bloccati per i prossimi anni: dunque nessun extraprofitto. Nel mirino allora sono finite le imprese, e ci sono big anche qui, che producono con rinnovabili: i loro costi di produzione sono bassi e il prezzo cui vendono ora, il 'Pun', prezzo unico nazionale, determinato dal gas, è altissimo. Mugugni anche per tutta la filiera composta da trader, broker, e dalle circa 700 utilities che ci portano la corrente a casa, dall’Acea alla Hera.

La proposta di Confindustria. Dunque lo stallo. Nelle ultime ore, è scesa in campo anche la Confindustria, convocata a Palazzo Chigi: rappresenta chi patisce gli alti costi e in qualche modo anche chi ha fatto profitti. La proposta che si sta vagliando messa sul tavolo da Aurelio Regina, responsabile dell’energia degli industriali, è quella di tagliare il costo di acquisto da parte di Gse, il soggetto pubblico che compra obbligatoriamente tutta l’energia rinnovabile, dai 230 euro al Mwh odierni ai prezzi storici, circa un quarto degli attuali. Ci sarebbe la scrematura degli extraprofitti, e una quantità pari al 17-18% del consumo delle industrie italiane sarebbe messa sul mercato a prezzi molto bassi con un risparmio per il sistema pari a 3 miliardi. La mediazione è sul tavolo del governo nelle ultime ore.

La questione sociale non aspetta. È evidente che gas e luce, come l’acqua e il pane, siano beni incomprimibili. Di conseguenza lo stesso aumento dei costi pesa assai di più sui redditi bassi che sono costretti a rinunciare a uno spettro di ulteriori consumi più alto di quello delle famiglie più ricche. Tuttavia, benché sia stato destinato 1 miliardo dei 9,5 spesi negli ultimi sette mesi contro il caro bollette per le famiglie povere, non appare sufficiente.

Cambiamento climatico e Borutta. È vero che il nostro sistema è in una situazione critica, come ha ammonito una recente indagine del Copasir, perché importiamo il 73,4% dall’energia e il gas naturale conta per il 40,6%. Per uscire dalla morsa di Gazprom dovremmo procedere verso le rinnovabili: raggiungendo il target del 72% nel 2030 il costo della bolletta energetica scenderebbe di 30 miliari all’anno. Come a Borutta, piccolo paese sardo citato dai Verdi, dove il caro bolletta non è un problema: non si paga perché tutto procede grazie a una pala eolica e alcuni impianti fotovoltaici.