L'industria dell'auto. Melfi, processo a Fca: le luci e le ombre
Le nuove Jeep e le Fiat 500 X nel piazzale dello stabilimento a pochi chilometri da Melfi
«Guardi laggiù, guardi quelle Jeep grigie e poi quelle rosse. Eccolo lì il genio di Sergio Marchionne. Porta una macchina americana a Melfi. Scommette sul Sud e sulla nostra capacità di lavoro...». Percorriamo lentamente la statale che passa sopra lo stabilimento della Fiat con Gerardo Evangelista, il segretario generale della Fim-Cisl Basilicata. Lui ha lavorato qui ventidue anni. «Operaio in catena di montaggio», dice come se volesse ricordare anche a se stesso le sue origini. Scendiamo in basso. Camminiamo lungo la grande cancellata. Nel primo parcheggio sono ferme le ultime Punto. «È nata qui. Ventitré anni fa. Tra una manciata di ore quella 'linea' muore e si chiude un ciclo». Insieme esce di scena Sergio Marchionne. La bandiera di Fca è a mezz’asta e quelle italiana ed europea oggi sono ammainate. Per qualche istante pensieri e immagini si accavallano agli interrogativi. Evangelista ci anticipa: «Vogliamo continuità al progetto Marchionne, al piano industriale. Il nuovo vertice deve avere la sua stessa forza, la stessa visione, la stessa genialità. Oggi a Melfi si costruiscono Jeep e 500X. Sono macchine belle, si vendono bene. Ma ora serve un nuovo passo in avanti, un nuovo progetto, una nuova sfida. Ora bisogna accelerare sugli investimenti. Possiamo costruire qui la macchina del futuro e provare a conquistare nuove fette di mercato».
Nello stabilimento in contrada San Nicola operai e manager parlano di futuro. Si ipotizza un nuovo modello Jeep. Si ragiona sull’evoluzione della 500X: il motore elettrico, le tecnologie sempre più avanzate. C’è una voglia disperata di guardare avanti. Di soffocare le incertezze e i pensieri brutti. Fiat continuerà a puntare sul Sud? Melfi resterà un pilastro strategico dell’azienda auto? Torniamo verso la cittadina lucana dove ci aspetta il sindaco. Livio Valvano, una militanza mai rinnegata nel partito socialista e un impegno generoso per la 'sua' città, risponde subito alla Grande Domanda: «Non vedo un prima e un dopo Marchionne e, almeno nei prossimi tre anni, non temo contraccolpi. La Fiat ha puntato, punta e punterà su Melfi per una lucida scelta imprenditoriale. Qui c’è uno stabilimento all’avanguardia, c’è una manodopera di qualità, produrre qui è meglio e costa meno. Il tema, insomma, non è Marchionne o Manley (il nuovo amministratore delegato, ndr), il tema è efficienza e capacità di produzione».
Parliamo a lungo. Della Fiat e del Sud. Dei traguardi centrati e degli obiettivi mancati. «Fiat ha trasformato la Basilicata. Ha fatto vedere alla nostra gente un luogo di lavoro organizzato e, così, ha fatto crescere le aspettative sulla qualità dei servizi. È stata stimolo. Ha dato opportunità. Ma...». Una pausa lunga. Come se Valvano cercasse le parole giuste per spiegare quello che si doveva fare e non si è fatto. «Sono grato a questa azienda: ha dato lavoro e non è una piccola cosa. Ma poteva, anzi può ancora, fare un altro passo: essere il motore per la crescita culturale di questo territorio. In questi anni ho cercato un confronto, ho fatto anche proposte, ma l’interlocuzione con un’azienda di queste dimensioni e con orientamenti rigidi che vengono dal passato non è affatto semplice». È una riflessione lunga. Articolata. Valvano va avanti senza cambiare tono di voce. «Se fossi un dirigente Fiat penserei a come evitare che lo stabilimento diventi un fortino per difendersi da ciò che accade fuori. Mi interrogherei sui servizi che sarebbe possibile offrire ai dipendenti. Perchè Fiat non immagina un asilo nido per i bimbi degli operai? Perché non capisce le potenzialità di un parco giochi o di campo sportivo? L’anno scorso ha distribuito premi di produzione. Bene, giusto. Ma perché una parte di quei fondi non sono stati utilizzati per borse di studio per i figli degli operai? Perché Fiat non si è mai posto il problema delle famiglie dei suoi lavoratori?». Raffaele Nigro, premio Super Campiello nel 1987 e oggi vicesindaco e assessore alla Cultura a Melfi, allarga quella riflessione con le immagini dello scrittore: «Fiat ha fatto esplodere pizzerie e ristoranti. Ha fatto scoprire la voglia di mare. Il mondo contadino ha assoporato le ferie. E poi in un’Italia scossa dall’emergenza demografica qui si va controcorrente: a Melfi i bambini nascono come papaveri ». Ecco le luci che, ancora una volta si accavallano alle ombre. «Abito in un quartiere abitato per lo più da operai Fiat che non sono di Melfi. Qui si è perso il senso di comunità. Non si parlano, non si salutano. La vita non è una catena di montaggio».
Melfi è bella. Ogni angolo nasconde una sorpresa. Un balcone. Un campanile. Camminiamo in salita verso la Cattedrale intitolata a Sant’Anna. Ci fermiamo nei bar e proviamo a capire se la gratitudine prevale sulle rivendicazioni. Se lo stipendio fisso non viene oscurato dai turni troppo duri e dai contratti di solidarietà. Fiat innocente o colpevole? «Mio fratello lavora in Fiat ed è felice. Grazie a Fiat tanti miei amici si sono sposati. Con 1.500 euro al mese a Melfi vivi bene. Chi te li dà 1.500 euro? Chi ti garantisce tredicesima e ferie?». Angela Di Lallo, ventinove anni, un impegno convinto nell’Azione cattolica diocesana e un altro problematico nel Pd cittadino, va avanti e piazza il solito 'ma'. «...C’è un ma ingombrante, difficile da accantonare. Sarebbe stato bello vedere tanti giovani operai Fiat impegnati altrove. Per cambiare il volto di queste terre. Abbiamo talenti diversi da quelli necessari in uno stabilimento Fiat che dovevano essere valorizzati, e invece nulla. La politica ha lasciato il Sud al suo destino, troppi giovani hanno smesso di studiare e scelto la strada più facile. Non li condanno, non li critico. Anzi, capisco fino in fondo l’esigenza del posto fisso. Ma chi governa questi processi aveva il dovere di offrire ai giovani di Melfi un’alternativa».
Quando è sera Gerardo Evangelista riparte per Tricarico con la sua Jeep. Pensa alle intuizioni di Marchionne. Ma soprattutto pensa ai 5857 operai che hanno accettato la durezza del contratto di solidarietà. «Tutti hanno detto sì per spalmare su una platea vasta le giornate di non lavoro e di non salario», ripete sottovoce il sindacalista. L’operaio, le auto, Melfi. «Qui Fiat ha cambiato la storia», va avanti Evangelista. «Prima si faceva la fame. E per migliorare la vita o si aspettava l’aiuto di qualche politico locale o si faceva la valigia. Le parole nella Melfi di trent’anni fa erano desolazione e disoccupazione. C’era una Basilicata ferma nel nulla. Oggi c’è una Basilicata proiettata nel futuro. Fiat ha scommesso sui lavoratori del Sud, li ha aiutati a uscire da una mentalità chiusa e a credere nel futuro. Oggi quella scommessa pare vinta». Forse non del tutto perché sul domani restano incognite minacciose. Tutto è troppo legato ai bilanci, ai profitti, alla Borsa. Nel giorno della morte di Marchionne gli artigli del mercato hanno graffiato e Mario, un professore di matematica oggi in pensione, cita a memoria un titolo di un quotidiano e 'gioca' con i numeri: «Fca ha perso in poche ore 4 miliardi. Lo stipendio di un anno degli operai di mezzo Mezzogiorno». Per reagire a quell’urto serve coraggio. Marchionne cinque anni fa, in una lunga 'lezione' alla Sevel di Atessa, parlò di diritti e sfidò i giovani lavoratori: «Bisogna tornare a un sano senso del dovere. Per avere bisogna anche dare». È un altro tema. Raffaele Nigro ci regala ancora una immagine: «Qui i nostri giovani non sono ancora viziati dai meccanismi sindacali». Angela Di Lalla, ancora un interrogativo: «Non ho capito certe parole cattive contro Marchionne. C’era una generazione che non faceva nulla e oggi ha una prospettiva. Non capisco i lamenti. Non capisco la parola sfruttamento. Capisco solo la parola impegno. Dentro la Fiat, ma soprattutto fuori la Fiat».
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