La Fao. Martina: garantire i flussi di grano verso i Paesi più poveri
«Siamo in un tornante della storia dell’umanità che ripresenta la questione della fame come la grande questione globale». Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, è convinto che dietro alla guerra del grano ci siano tre grosse ferite concatenate: la guerra, la crisi economica e i cambiamenti climatici.
Inflazione e caldo record hanno spinto l’India a bloccare le esportazioni di grano. Si è innescato un effetto a catena legato alla guerra in Ucraina?
Siamo in un momento molto delicato perché stiamo subendo l’effetto combinato di diverse emergenze: l’impatto dei cambiamenti climatici sull’agricoltura è devastante, in particolare per i Paesi in via di sviluppo con siccità, ondate di calore e fenomeni avversi. Gli choc economici generati da questi due anni di pandemia hanno portato ad un indebolimento delle realtà produttive. Infine ci sono i conflitti. Quello tra Russia e Ucraina ha una natura molto particolare perché si tratta di forti esportatori di prodotti agricoli.
La spinta protezionistica danneggia soprattutto i Paesi più poveri?
Da Russia e Ucraina cinquanta Paesi in via di sviluppo ricevevano il 30% del loro grano, ben ventisei erano dipendenti per la metà del loro fabbisogno. Egitto, Libia, Congo, Eritrea e i paesi africani dell’area subsahariana avevano di fatto un collegamento diretto. Il grano è per il 33% della popolazione mondiale l’alimento base, l’altro è il riso. Questo conflitto sta generando un clima di incertezza: molti Paesi stanno attuando politiche di restrizione, come ha fatto l’India, con meccanismi protezionistici che alla lunga rischiano di essere ancora più dannosi.
I ministri dell’Agricoltura del G7 hanno criticato l’India, chiedendo un passo indietro.
G7, G20 e Fao continuano a chiedere di lasciare aperti i flussi. Sappiamo bene che nell’area del conflitto ci sono grossi problemi e si sta lavorando a corridoi alimentari che possano consentire l’uscita dai porti di grosse quantità di grano. Le autorità ucraine parlano di 25 milioni di tonnellate. Ma si deve puntare ad una diversificazione degli approvvigionamenti. Non meno rischiosa è la dipendenza dai fertilizzanti il cui prezzo è alle stelle: anche in questo caso Russia, Ucraina e Bielorussia sono grandi produttori ed esportatori. Senza fertilizzanti la produzione agricola di molti paesi dell’Africa subirà un drastico calo.
Quali soluzioni alternative si possono trovare?
Come Fao stiamo lavorando ad un progetto di import facilities, che faciliti l’incontro tra domanda e offerta e aiuti la diversificazione. Un meccanismo finanziario che consenta di allocare risorse da utilizzare per compensare le differenze di prezzo tra diversi Paesi e dare un supporto straordinario a quelli più fragili. In pratica un sistema per calmierare l’aumento esponenziale delle materie prime. Il tema è stato affrontato nel corso della conferenza regionale Europea e dell’Asia centrale che si è svolta a Lodz in Polonia ed è stato presentato al G7 di Stoccarda. Il ministro Di Maio ha annunciato ieri che l’8 giugno ci sarà un vertice del Mediterraneo sulla sicurezza alimentare, mentre il suo collega Pautanelli ha annunciato un contributo del governo italiano, pari a 5 milioni di euro per il progetto Food coalition che prevede interventi a sostegno dell’agricoltura in Ucraina.
Il World food programme dell’Onu ha parlato di 47 milioni di persone che per effetto della guerra non avranno cibo a sufficienza, sono stime realistiche?
Quel dato è riferito solo alla popolazione locale di Russia e Ucraina. In venti paesi a rischio alimentare la guerra è la prima causa, c’è una situazione drammatica in Afghanistan e Eritrea, seguita dal clima. Onu e Ue hanno da poco diffuso una stima di 193 milioni di persone a rischio fame acuta nel mondo con un balzo di 40 milioni tra il 2020 e il 2021, aumento senza precedenti nelle ricerche statistiche. È come se in un anno l’intera popolazione del Canada entrasse in uno stato di povertà assoluta. Questa è una guerra che incide molto sul fronte degli approvvigionamenti alimentari perché coinvolge paesi ad alta intensità esportativa ed ha effetti globali. Faccio un esempio concreto: in Iran si sta discutendo da qualche giorno di calmierare il prezzo del pane e in prospettiva di limitarne l’acquisto.