Mario Deaglio. «La sfida è vincere il malcontento anti-euro»
L'economista Mario Deaglio
«Il caos politico arriva come una grandinata sulla ripresa italiana, che aveva finalmente preso vigore. Adesso dobbiamo capirne l’entità, ma le prospettive non sono buone ». Mario Deaglio, tra i più autorevoli economisti italiani, non nasconde il suo pessimismo.
Che cosa rischiano le nostre aziende?
Per qualche mese c’è una sorta di effetto di inerzia che può prolungare la fase positiva. I pericoli più immediati per le aziende vengono dalle tensioni commerciali globali, un rischio molto grosso per un Paese esportatore come il nostro. Si pensava che la domanda interna potesse compensare il possibile calo della domanda estera. L’incertezza politica, per gli effetti che può avere sulla fiducia delle famiglie, rende tutto più difficile.
Come si spiega la “rabbia economica” di una parte della popolazione in un contesto di ripresa?
Sappiamo di avere un grosso problema di diseguaglianza. La Banca d’Italia ce lo ricorda da almeno dieci anni. La ripresa ha interessato quasi soltanto il Centro-Nord. Le speranze di ripresa si sono trasformate in delusione in chi non ha visto migliorare la sua situazione economica e questo spiega il successo di chi promette misure come il reddito di cittadinanza, avanzate a mio giudizio con troppa faciloneria.
Cosa ne pensa delle misure economiche previste dal “contratto di governo”?
Era un programma elaborato solo sul lato delle esigenze. La questione di come finanziarlo era stata del tutto trascurata. Paolo Savona nella lettera di domenica ribadisce che il risanamento non si fa con l’austerità, ma con la crescita. Io posso essere d’accordo, ma vorrei vedere i numeri, capire i tempi. Questi sono processi lunghi.
L’ha sorpresa vedere Savona diventare il punto di scontro tra la maggioranza e il presidente della Repubblica?
Savona è un economista molto bravo. Quello che ha fatto, sia a livello teorico che a livello pratico in Banca d’Italia e in tante aziende pubbliche e private, è di primissimo livello. Ha scritto saggi che denotano una perfetta conoscenza di meccanismi dello Stato italiano e dell’Europa. Io gli credo quando dice che non vorrebbe uscire dall’euro. Bisogna però anche capire il contesto.
Che cosa intende dire?
L’accelerazione dei meccanismi della spesa pubblica può facilmente portare il bilancio pubblico fuori quadro, creando una situazione di grave crisi strutturale. Con il rischio, anche solo potenziale, che l’Italia finisca per 'votare' un referendum per l’uscita dall’euro. Forse Mattarella avrebbe pure potuto accettare il suo nome, sapendo che il presidente della Repubblica ha anche il potere di bloccare, almeno temporaneamente, le leggi approvate dal Parlamento. È anche vero, però, che se un presidente usa il suo potere di non firmare provvedimenti importanti si crea un pessimo clima istituzionale.
Sforare i limiti sui deficit di bilancio per spingere la crescita è una ricetta corretta?
Come linea d’azione è ragionevole. Padoan lo ha fatto, ma entro certi limiti, sforando di qualche decimale all’anno, recuperato poi con l’aumento della crescita. Se si fanno deficit di maggiore entità, allora le conseguenze sui mercati possono essere rapidissime. I titoli di Stato valgono meno, gli interessi si impennano, le azioni si svalutano e le aziende diventano facile preda dei concorrenti stranieri. Se ci si incammina lungo questa strada, io credo che ci si deve chiedere se ci siano secondi fini, se ci sia un disegno per portare l’Italia fuori dall’Europa. Si parla tanto della Russia... io non sono esperto di questi aspetti ma non li sottovaluto.
L’Italia le pare in grado di risalire questa china che sembra portarla verso l’uscita dall’euro?
È molto più difficile di un tempo perché l’atteggiamento della gente è profondamente cambiato, talora in maniera curiosa: la Lega, ad esempio, è popolare in aree del Paese dove la popolazione deve molto del suo benessere all’Europa. Penso al Nordest, dove tante industrie hanno in Germania i loro principali clienti. Questi cambiamenti possono essere spiegati da una spaccatura della società in corso da circa un decennio: l’ascensore sociale non va più su e lo sviluppo debole che abbiamo vissuto negli ultimi anni ha escluso molti, soprattutto giovani.
Non mi sembra per nulla ottimista su ciò che sta accadendo.
Il problema dei giovani è enorme. Se vedi il curriculum di un ragazzo che si è preso una laurea breve e dopo dieci anni sta ancora facendo “lavoretti”, capisci che non ha futuro. Stiamo iniziando a vedere gli effetti politici di spaccature sociali che ci sono in tutto il mondo: nel Regno Unito, negli Stati Uniti, ora qui. È una situazione di estrema gravità.
Vede spiragli di miglioramento?
Un primo passo sarebbe fare un passo indietro sulla iper-drammatizzazione delle notizie. I media hanno una forte responsabilità, i tempi di Internet sono troppo rapidi, le persone sono spinte a volere tutto e subito, ma nella politica non può funzionare così. Non esistono rimedi facili.