Economia

I CONTI DEL PAESE. Napolitano firma il decreto «Ma ancora non basta»

Marco Iasevoli giovedì 7 luglio 2011
L'annuncio che Napolitano ha firmato il decreto lo dà Gianni Letta prima di lasciare la conferenza stampa dell’esecutivo. Ma le condizioni del «sì» le specifica il Colle in prima persona, con dieci righe che mettono in fila le perplessità risolte e le attenzioni che occorre avere per procedere senza intoppi. La manovra, dice il capo dello Stato al punto numero uno della sua nota, adesso può andare avanti perché «i suoi contenuti sono stati essenzialmente ricondotti alle norme strettamente attinenti». Ovvero: è stata espulsa la "salva-Fininvest". Proseguendo, Napolitano specifica che il dl dell’esecutivo «prevede gran parte della manovra necessaria per raggiungere il pareggio del bilancio entro il 2014». «Gran parte», non tutto, e alla «restante parte» si dovrà mettere mano «con gli ordinari strumenti di bilancio per il triennio 2012-2014 e i relativi disegni di legge collegati». È un monito che da un lato puntella l’intesa con il ministro dell’Economia sugli obiettivi fissati dall’Ue, dall’altro è uno stimolo a tenere la guardia alta, senza cedimenti dovuti all’avvicinarsi di nuove scadenze elettorali. Infine, si auspica «un confronto realmente aperto» in Aula per tenere insieme «riduzione del debito pubblico e rilancio della crescita economica».La premessa della nota, dedicata alle «norme non attinenti», conferma il gelo sceso negli ultimi giorni tra Quirinale e palazzo Chigi. Berlusconi ieri non ha partecipato alla conferenza stampa delegando Gianni Letta a rappresentarlo e il ministro Tremonti all’illustrazione delle misure, e non ha partecipato nemmeno ad un ricevimento ufficiale dell’ambasciata Usa (in tarda serata, invece, va alla festa di compleanno di Catia Polidori). In tutti i dialoghi privati ha però continuato ad esprimere la sua preoccupazione per l’imminente sentenza di secondo grado sul lodo Mondadori, che potrebbe condannarlo a pagare 750 milioni alla Cir di De Benedetti: «Nessuna azienda può sopravvivere ad un risarcimento del genere, vogliono farmi vendere, una norma serve altrimenti salta tutto per tutti...». Da qui la sensazione di essere assediato dal combinato disposto di Quirinale, Tremonti, Lega e opposizioni che lo ha costretto a ritirare la modifica al codice civile che avrebbe reso esecutivo il risarcimento solo dopo il pronunciamento della Cassazione. Ieri mattina, però, nei rapporti con Napolitano qualcosa si è sciolto, almeno nella forma: a margine del Consiglio supremo di difesa i due si sarebbero isolati - unico testimone Gianni Letta - per chiarire e chiudere il caso.Nella sua concretezza - i 750 milioni di euro -, però, il caso resta tutto. I cronisti presenti ieri alla conferenza stampa hanno chiesto conto a Tremonti del chi, come e perché ha introdotto - e in extremis o alla luce del sole? - la norma della discordia. «Vi do il numero di Letta», ha glissato il ministro, sospettato di aver "trainato" l’attenzione del Colle e della stampa sulla norma della discordia. Per poi aggiungere, dopo le insistenze dei giornalisti, ma senza risolvere il giallo: «La manovra che discutiamo oggi è quella che avevo in mente e che ha deciso il Cdm, sulla norma che tanto vi appassiona si pronuncerà palazzo Chigi». Al premier - e a Letta - questo atteggiamento non è piaciuto, e Berlusconi in persona ha chiamato alcuni ministri per lamentarsene, commentando anche le numerose prese di distanza dell’altro ieri: «Guardano tutti nel proprio orticello». Parole che sfiorerebbero anche il neosegretario Alfano. Dopo la battuta in pubblico del Tesoro, poi, inizia un siparietto singolare. Romani interrompe Tremonti per riportare la linea ufficiale del Pdl: «Era una norma giusta, strumentalizzata solo perché riguarda il premier». Contro-interruzione del leghista Calderoli: «Continuo a pensare che fosse incostituzionale».Le tensioni tra il premier e il superministro, e tra il premier e la Lega, non sono dunque superate, come dimostrano gli altri fronti aperti (per il Carroccio il tema caldo tornano ad essere le missioni militari, per il Tesoro la corsa a Bankitalia, e Bersani, annusando il conflitto strisciante su palazzo Koch, ha chiesto di «essere convocato» per dire la sua). Non è un caso che ieri Berlusconi abbia lasciato solo Tremonti a dare tabelline onerose dal punto di vista della popolarità, specie quando si parla di tagli alla spesa sociale. Ed è lui, Giulio, a sorbirsi gli attacchi dell’altra parte. «Sembra il dottor Stranamore, è una manovra inaccettabile per l’enorme carico sociale», affonda Bersani. «È il ministro della depressione», incalza la Cgil. E Silvio non ci piange su, che non vada a lui la paternità della manovra gli sta bene. Ai suoi fedelissimi in Aula, invece, affida il compito di aggiustare le cose. Prendendosene il merito.