Moda. Le nozze Lvmh-Tiffany finiscono in tribunale
Doveva essere la più grande acquisizione mai realizzata nel settore del lusso ma resterà, molto probabilmente, solo un’ipotesi sfumata per colpa della crisi economica innescata dal coronavirus. Nuovo colpo di scena nella lunga saga dell’acquisto di Tiffany da parte del colosso francese Lmvh. L’affare da 16 miliardi di dollari è sul punto di dissolversi in una bolla di sapone dopo un susseguirsi di voci e accuse incrociate. Un matrimonio sfumato prima ancora di essere celebrato a casua del clima di incertezza dopo il lockdown ma anche della guerra commerciale a colpi di dazi voluta dal presidente Trump. Ieri l’ufficializzazione del passo indietro: il gruppo Lvmh ha fatto sapere che «così com’è», non è «in grado» di completare l’acquisizione di Tiffany. Lvmh ha spiegato che il gioielliere Usa ha chiesto il differimento della chiusura dell’operazione al 31 dicembre dal 24 novembre e che il board del colosso francese ha deciso invece di tenere fede ai termini originali dell’accordo di integrazione. Alla luce della situazione, Lvmh ha detto di non essere nella posizione per portare avanti l’acquisizione citando anche una lettera dal ministro francese per l’Europa e gli Affari Esteri che chiede di posticipare l’operazione di acquisizione oltre il 6 gennaio 2021 a fronte delle minacce da parte degli Stati Uniti di tassare i beni francesi. La risposta di Tiffany non si è fatta attendere con un’iniziativa legale presso la Corte di Chancery nello Stato del Delaware per far rispettare gli obblighi contrattuali al gruppo francese e far concludere l’operazione. Secondo Tiffany la richiesta di un rinvio della chiusura del deal arrivata dal governo di Parigi come risposta ai dazi Usa non trova alcun fondamento nel diritto francese.
«Ci rammarica di dover intraprendere questa azione, ma Lvmh non ci ha lasciato altra scelta se non quella di avviare un contenzioso per proteggere la nostra azienda e i nostri azionisti con la fiducia di avere adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dall’accordo di fusione e con l’impegna a completare la transazione alle condizioni concordate l’anno scorso», ha commentato il Ceo Roger Farah. Tiffany avrebbe tratto sicuramente vantaggio dall’acquisizione da parte del gruppo di Bernard Arnault. Si tratta di un impero che spazia dalle borse (Louis Vuitton) all’abbigliamento (Dior, Loro Piana) dai gioielli (Bulgari, Tag Heuer) alle catene di retail (Le Bon Marchèè), dalla cosmetica (Sephora) agli alcolici (Moet & Chandon). Il gruppo francese aveva a lungo corteggiato la gioielleria fondata nel 1837, celebre anche grazie all’interpretazione di Audrey Hepburn nel film "Colazione da Tiffany". Lmh avrebbe rafforzato la sua presenza negli Stati Uniti, attualmente il secondo mercato del gigante del lusso con il 23% di vendite. Arnault prima della pandemia aveva avanzato una proposta di acquisto che prevedeva il pagamento di 135 euro ad azione definendo Tiffany "un’icona americana", secondo alcune indiscrezioni, pubblicate dal Financial Times il dietrofront pubblico potrebbe essere il tentativo di strappare un cospicuo sconto alla luce della crisi del lusso e far scendere il prezzo per azione a 120 euro. La pandemia ha depresso la domanda mondiale di beni di lusso per i quali si stima un drastico calo delle vendite compreso tra il 20 e il 35%. Lo scossone ha colpito anche il valore di Tiffany in borsa, con le azioni in calo del 9%. Ci vorranno almeno tre anni per tornare ai livelli pre-covid e nemmeno un colosso come Lvmh sembra disposto a rischiare una mossa azzardata in un periodo poco favorevole.