Economia

Paradisi fiscali. Panama Papers, lo scandalo travolge l'Africa

Emanuela Citterio mercoledì 6 aprile 2016

Un affare da quasi 7 miliardi di dollari per Khulubuse Zuma, nipote dell’attuale presidente sudafricano, un appartamento a Londra affittato per 600mila dollari dall’ex presidente del Sudan al-Mirghani, una tangente da 5,3 milioni di dollari alla moglie dell’ex dittatore della Guinea Lansana Conté per ottenere una concessione mineraria. Ed è solo la punta dell’iceberg. Un iceberg molto sporco, come ha scritto una testata sudafricana commentando le rivelazioni sui passaggi di denaro offshore dei potenti africani e dei loro entourage. Alcune vicende, specialmente in Kenya e in Sudafrica, erano già state portate alla luce dalla stampa locale, ma ora ci sono dati, scambi di mail, documenti. I Panama Papers stanno scuotendo anche l’Africa, lasciando poco spazio ai gossip sul calciatore o il vip di turno. Qui la faccenda è seria, perché ad essere confermata è l’esistenza di un sistema di ingiustizia e disparità che si traduce in diritti fondamentali negati, come quello all’istruzione primaria, all’accesso a servizi sanitari decenti. Che sottrae linfa vitale allo sviluppo di un continente che, nonostante la crescita degli ultimi anni, resta il più povero del mondo.  Nel video di presentazione dell’inchiesta, l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) cita la popolazione dell’Uganda fra le vittime delle operazioni facilitate da Mossack Fonseca: una compagnia ugandese si è rivolta allo studio legale panamense per evadere 400 milioni di dollari di tasse dovute per la vendita di un terreno destinato all’estrazione di petrolio. La cifra di 400 milioni di dollari è superiore al budget destinato alla sanità del governo dell’Uganda.

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Uno dei casi che sta facendo più scalpore sulla stampa africana è quello di Khulubuse Zuma, nipote dell’attuale presidente sudafricano Jacob Zuma, che proprio ieri si è salvato da un voto di impeachment per le ristrutturazioni nella sua villa. I Panama Papers hanno confermato che c’è il suo nome dietro la Caprikat Limited, con base alle Isole Vergini Britanniche, che si è aggiudicata la concessione di due giacimenti di petrolio nella Repubblica democratica del Congo, un affare da 6,7 miliardi di dollari. Amante della bella vita e collezionista di macchine sportive (ne ha 19), Khulubuse è stato facilitato in questo affare dallo zio-presidente, che si è mobilitato di persona recandosi nel 2009 a Kinshasa per discutere dei due giacimenti petroliferi con il presidente Joseph Kabila, come aveva già rivelato un’inchiesta della testata sudafricana City Press. Otto mesi dopo Kabila diede le concessioni a Khulubuse Zuma togliendole al gigante petrolifero irlandese Tullow Oil. L’operazione di acquisto facilitata da Mossack Fonseca fu in seguito oggetto di un’indagine fiscale da parte dalle autorità delle Isole vergini britanniche, che con una lettera intimarono allo studio legale panamense di fornire entro 7 giorni le informazioni sulla Caprikat. I documenti rivelano che, dopo questa inchiesta, Mossack Fonseca decise di chiudere la sua relazione con Zuma e la Caprikat.

 

 

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Per quanto riguarda l’Africa, nella lista dei capi di Stato che si sono avvalsi dello studio panamense compare l’ex presidente del Sudan Ahmad Ali al- Mirghani, morto nel 2008: attraverso l’Orange Star Corporation, creata con sede alle Isole vergini britanniche nel 1995, stipulò un contratto di affitto a lungo termine per un appartamento di lusso a Londra, vicino ad Hyde Park, al costo di 600mila dollari. Al momento della sua morte, possedeva proprietà della compagnia per un valore di 2,72 milioni di dollari.Nella lista di parenti o persone vicine ai leader africani, oltre al nipote del presidente sudafricano Zuma ci sono John Addo Kufuor, figlio dell’ex presidente del Ghana John Agyekum Kufuor;  Jean-Claude N’Da Ametchi, vicino all’ex presidente ivoriano Laurent Gbagbo e Mamadie Touré, vedova del defunto presidente guineano Conté. Ma ad aver fatto affari all’ombra dei paradisi fiscali ci sono anche giudici, deputati, ex ministri e ambasciatori. Ogni anno l’Africa perde fra i 30 e i 60 miliardi di dollari in evasione e flussi finanziari illeciti, secondo la Commissione economica dell’Onu per l’Africa (Uneca). E i principali veicoli di questa emorragia sono proprio paradisi fiscali come Panama, le Isole vergini britanniche e le Seychelles, ampiamente citati dai Panama Papers.  Un flusso di risorse mancate pari al triplo degli aiuti umanitari ricevuti dal-l’Africa, secondo l’Organizzazione per la cooperazione (Oecd). E questo stando ai dati ufficiali. Il Tax Justice Network sostiene che il flusso di denaro che prende il volo dall’Africa ammonti a dieci volte l’aiuto umanitario.