Economia

Ricerca. Viaggio nel lavoro di cura

Maurizio Carucci giovedì 19 gennaio 2017
Viaggio nel lavoro di cura

Sulla base dei dati Inps, in Italia i lavoratori domestici e badanti regolarmente registrati nel 2015 erano 886.125. Il 75,9% di questi (circa 672mila) vede coinvolte persone di origine straniera, dato in diminuzione se confrontato con quello del 2012, anno in cui erano più di 821mila (numero più elevato dal 2000 a oggi), e rispetto al triennio 2013-2015, in cui si rileva un decremento del -4,2%. Il numero dei lavoratori italiani occupati nel settore è notevolmente inferiore, anche se la tendenza è in crescita raggiungendopiù di 213mila assunti. In particolare ad aumentare sono le donne: da circa 130mila nel 2005, in dieci anni sono aumentate di circa 60mila unità raggiungendo i 196mila rapporti di lavoro. Gli uomini triplicano, passando da circa 5.700 a più di 17mila assunti. «Questi andamenti relativi alla diminuzione degli stranieri e all’aumento degli italiani - spiega Raffaella Maioni, responsabile nazionale di Acli Colf - possono essere letti, in estrema sintesi, come il risultato di dinamiche e politiche socio-economiche: per quanto riguarda gli stranieri ciò è riconducibile agli effetti di contrazione che si registrano nel settore domestico dopo ogni sanatoria (oltre che alle difficoltà economiche delle famiglie datrici di lavoro); per quanto concerne gli italiani, il dato va interpretato, invece, alla luce dell’espulsione da altri settori del mondo del lavoro a causa della crisi economica e della conseguente necessità di trovare una nuova occupazione».

Con questa premessa è nata Viaggio nel lavoro di cura. Chi sono, cosa fanno e come vivono le badanti che lavorano nelle famiglie italiane, la ricerca e relativa pubblicazione promossa dalle Acli Colf in collaborazione con Iref e Patronato Acli. Il libro, alla cui scrittura hanno contribuito numerosi esponenti del mondo accademico ed esperte/i del settore, si propone di mettere in luce le trasformazioni che hanno investito il lavoro domestico negli ultimi anni e di come il lavoro di cura si sia sviluppato nel nostro Paese. Da tempo, infatti, questo settore è testimone di rilevanti dinamiche e cambiamenti della società. La ricerca - di cui la pubblicazione presenta i risultati, oltre a ospitare contributi specifici sul tema - indaga e affronta vari temi come le competenze, l’identità, la salute, le condizioni di lavoro e le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori impiegati nel lavoro di cura. In particolar modo, l'indagine mette in luce chi sono, cosa fanno e come vivono le persone impiegate in questo settore, ovvero le migliaia di badanti che lavorano nelle case italiane.

In generale il settore domestico e di cura rimane appannaggio delle donne, prevalenti rispetto alla componente maschile (87,8% lavoratrici femminili, pari a 780mila, contro il 12,2% di maschi, circa 108mila), le quali trovano una collocazione lavorativa soprattutto nella così detta "nicchia" dei servizi di assistenza alla persona,in grado di fornire loro le maggiori possibilità di impiego nel nostro Paese a prescindere dalla formazione e dal livello d’istruzione (che dai dati della ricerca risulta mediamente alto).

I dati raccontano inoltre di un numero maggiore di assunzione come colf (pari al 57,5%, circa 510mila, un -5,4% rispetto al 2014) rispetto alle assistenti familiari (che sono il 42,3%, circa 375mila, un +2,2% rispetto all’anno precedente). Dati interessanti ma che potrebbero nascondere una convenienza al ribasso, un accordo che vede spesso i datori di lavoro assumere lavoratrici domestiche come colf, anziché come badanti, per un monte ore più basso rispetto a quello realmente svolto, risparmiando in questo modo sulla contribuzione da versare.

«In questo Viaggio nel lavoro di cura - prosegue Maioni - ci si è domandati cosa significhi oggi "lavoro dignitoso", in un momento storico caratterizzato da una profonda crisi economica e del lavoro, che tocca molti settori di impiego. Partendo dalla narrazione dell'impegno che le Acli Colf hanno sempre profuso per promuovere la tutela, la formazione lavorativa e sociale, la partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, si sono esaminati i dati della ricerca e le numerose testimonianze raccolte. Sono emersi vari risultati tra i quali il riconoscimento dell'importanza del lavoro domestico e di cura da parte di lavoratrici e lavoratori, il suo valore positivo non tanto in termini economici, ma soprattutto relazionali e umani. Questo settore di fatto compensa le carenze del welfare italiano, offrendo un valido contributo alle famiglie affidatesi al "fai da te" sul quale si è sviluppato questo pilastro della cura nel nostro Paese. È apparso, inoltre, come la delega della cura possa talvolta diventare totale, trasformando l'assistente familiare nella persona alla quale è chiesto di intervenire su tutto lo spettro dei bisogni, anche infermieristici, della persona assistita. Con una evidente incidenza negativa sullo stato psico-fisico delle lavoratrici (la maggioranza sono donne) i cui diritti rischiano di essere calpestati. Quasi un “factotum”, dalla serie, “qualsiasi cosa succeda occupatene tu”».

Tra i tanti aspetti negativi e penalizzanti raccolti, vi è l'aumento del lavoro nero, ma anche di quello "grigio", cioè in cui solo una parte delle ore svolte viene regolarmente denunciata. O ancora, non solo il mancato riconoscimento dei diritti contrattuali, ma pure la sottovalutazione del lavoro che viene svolto dalle badanti.

All'interno del libro è presente il dvd "Tra vent'anni. La vita, i sogni e le speranze di colf e assistenti familiari migranti": uno spaccato della realtà vissuta da queste donne al di là degli stereotipi e pregiudizi.

Le Acli offrono assistenza a lavoratrici e lavoratori che operano nel settore del lavoro domestico e della cura (colf, badanti, babysitter), ma anche per le famiglie/datrici di lavoro. Nello specifico si occupano della corretta gestione del rapporto di lavoro domestico e di cura per favorire l’emersione del lavoro nero e la legalità in questo settore, supportando anche le famiglie/datrici di lavoro alla corretta gestione del rapporto di lavoro domestico grazie ai servizi di Patronato e Caf. Oltre alle classiche risposte in merito alle domande di assistenza per avere diritto ad altre prestazioni come la pensione, assegni familiari, versamenti contributivi, gestione pratiche previdenziali e assistenziali. Inoltre, viene promossa la partecipazione delle lavoratrici e lavoratori domestici ad attività formative e informative sui temi dei diritti e doveri in ambito domestico, ma anche su altre questioni che attengono in modo diretto a questo rapporto di lavoro. Infatti varie sono le questioni che il settore incrocia come le nuove forme di povertà, i bisogni di cura delle famiglie, le fragilità di chi cura e (spesso) anche di chi viene curato, la solitudine che è il male peggiore in questo rapporto/relazione di lavoro.

«Alla politica - sottolinea Maioni - chiediamo di garantire un maggiore sostegno e intervento nel settore del lavoro domestico e di cura. Correva l’anno 2006 quando le Acli Colf proponevano la detrazione del costo del lavoro domestico e di cura per favorire l’emersione del lavoro nero. Oggi gli incentivi per assumere legalmente un lavoro domestico sono ancora troppo scarsi. In particolare, almeno il lavoro delle badanti che assistono persone non autosufficienti, dovrebbe essere supportato in quanto lo stato sta continuando a delegare l’assistenza alla persona alla famiglie, che curano i propri famigliari in casa. Dalla nostra ricerca e relativa pubblicazione, è emerso come il 40% della badanti assunte “in nero” svolga anche compiti para-infermieristici, che di fatto non potrebbero fare anche se assunte regolarmente. È necessario intervenire anche sulla formazione della categoria che porti al riconoscimento di una figura professionale definita. Ciò garantirebbe anche un maggiore riconoscimento sociale alla categoria. Inoltre ci sono degli aspetti legati al contratto collettivo nazionale e alla normativa specifica del settore. Deve essere assicurata anche per questa categoria la malattia pagata dall’Inps (cosa che oggi non è) e il godimento della maternità come per le altre lavoratrici dipendenti (è garantita solo la maternità obbligatoria). È imprescindibile quindi non agire sulla contribuzione per rivoluzionare il sistema delle ormai superate (e ingiuste) retribuzioni convenzionali che di fatto riducono la contribuzione per i dipendenti di questo settore, riducendo tutte le prestazione correlate. Questo anche alla luce della ratifica della C189 da parte dell’Italia nel 2012 che prevede di fatto per i lavoratori domestici un trattamento al pari degli altri lavoratori. Investire su questo settore e sulle tutele per la categoria, significa, però, investire sulle donne, sul risparmio, sui servizi di cura. Se queste lavoratrici/ori non hanno diritto a prestazioni e tutele, non sono incentivate a investire sulla legalità. Senza pensare alla situazione pensionistica futura che le vede percepire pensioni irrisorie, con un alto rischio di povertà futura. Non si illuda chi pensa di risolvere il problema pensando che queste lavoratrici/ori torneranno a casa: i percorsi migratori inizialmente temporanei, stanno diventando sempre più di lungo periodo grazie alla presenza delle famiglie e dei figli. Molti lavoratori stanno inoltre acquistando la cittadinanza italiana. Investire dunque oggi sul lavoro domestico e di cura, sui servizi di assistenza alla persona, in generale significa dunque investire sul futuro del nostro Paese e dei suoi cittadini».



Nonostante le difficoltà del comparto, anche a causa di una crisi economica che si trascina da anni, non mancano le persone che si adattano a diventare colf o badanti. «Il consiglio principe - conclude la responsabile nazionale di Acli Colf - è innanzitutto fare formazione nel settore. Questo mestiere è importante perché entra nelle case delle persone, nella loro intimità. Pertanto ci vuole molta cura nello svolgere questo lavoro. Ma anche molta professionalità, soprattutto quando si tratta di assistere persone: malati di Alzheimer, Parkinson o altre malattie che prevedono competenze per la gestione e una presenza costante. Questo è fondamentale soprattutto perché se si è esposti a ritmi di lavoro molto intensi per molte ore e non si è preparati, si può rischiare di soffrire a propria volta di disturbi (depressione, sindrome di burnout….). Una lavoratrice ci raccontava: “Ho dovuto lasciare il lavoro di badante, perché la malattia del signore stava diventando la mia”. Oltre alla formazione è importante informarsi sui propri diritti e doveri. Da subito devono essere chiariti i bisogni della famiglie/datrice di lavoro e l’impegno richiesto. Questo per garantire fin dall’inizio un rapporto di lavoro regolare e ovviare a successive spiacevoli sorprese. La corretta gestione del rapporto di lavoro, chiarezza e legalità sono a tutela non solo del lavoratore, ma anche del datore di lavoro».