Economia

Intervista. «L'insicurezza globale è drammatica. E l'economia dell'Ue non è pronta»

Giovanni Maria Del Re sabato 16 settembre 2023

Container nel porto cinese di Nanjing

L’Europa non può continuare il “business as usual” se vorrà evitare il declino di fronte a una situazione geopolitica mondiale sempre più piena di rischi. A lanciare il monito è l’economista tedesco Guntram Wolff, 49 anni, presidente della Società tedesca per la Politica estera (il principale think-tank di Berlino di geopolitica), fino al 2022 per dieci anni direttore di Bruegel, importante centro studi economico a Bruxelles, con un passato alla Bundesbank e alla Commissione Europea. Wolff oggi presenta ai ministri delle Finanze dei Ventisette riuniti a Santiago de Compostela un rapporto preparato insieme allo spagnolo Federico Steinberg, ricercatore presso il Real istituto Elcano, un importante think tank a Madrid su studi strategici, intitolato: “Affrontare l’(in)sicurezza economica dell’Europa”. Avvenire ne ha parlato con Wolff in anteprima. «La situazione globale – ci dice – è drammatica dal punto di vista della sicurezza. Penso alla guerra in Ucraina, alle forti tensioni in area indo- pacifica anzitutto tra Usa e Cina, i rischi di frammentazione delle catene di approvvigionamento, i rischi climatici. L’Europa non può continuare a fare come se niente fosse».

Guntram Wolff - Imagoeconomica

Lei guarda molto all’Asia. Che cosa la preoccupa?
C’è il rischio di un’escalation militare tra Cina e Usa, ma basterebbero anche situazioni intermedie, ad esempio un assedio cinese di Taiwan, cruciale per i chip, per creare immensi problemi all’Europa. Né possiamo dimenticare i rischi provenienti dagli Usa, se dovesse tornare alla Casa Bianca Donald Trump. Secondo uno studio del Fmi, restrizioni commerciali a livello globale potrebbero contrarre il pil mondiale del 7%. L’Europa deve porsi urgentemente la questione di come prepararsi.

Eppure voi mettete in guardia da un protezionismo Ue, dal sogno di “rimpatriare” la produzione industriale.
A nostro avviso la prosperità economica dell’Europa crescerà restando aperti, con il commercio. Il punto non è rimpatriare la produzione, non si possono costringere le industrie a produrre in Europa se i costi sono molto più alti, a meno di non pensare a sovvenzioni permanenti difficili da finanziare. Si tratta piuttosto di diversificare l’import, per evitare di dipendere da un solo Paese come accade in alcuni settori ad esempio con la Cina. Per questo urgono grandi accordi commerciali, ad esempio con il Mercosur, o con i Paesi dell’Asean.

Dunque progetti Ue come il Chip Act per la produzione di microprocessori in Europa sono irrealistici?
Un momento, qui lei tocca un punto molto delicato: come reagire di fronte al fatto che alcuni Paesi hanno aumentato di molto le sovvenzioni in settori chiave, penso alla Cina ma anche a Taiwan, portandole a dominare in alcuni settori, creando dipendenza di natura economica e di sicurezza per l’Europa. Sappiamo ad esempio che la produzione di chip è concentrata a Taiwan. Se si arriva a uno scontro militare con la Cina, questo avrebbe un impatto diretto sulla nostra sicurezza. Ecco perché diciamo che, limitatamente ai settori strategici, chiave, soprattutto del “dual use” (militare-civile) è necessario l’incremento delle capacità di produzione europea. Qui sì che si può pensare a sovvenzioni.

Ed ecco la questione dei finanziamenti comuni Ue, anche con debiti.
Esatto. Quando si parla di beni strategici comuni, per l’Europa è giusto chiedersi come finanziarli. È indispensabile un finanziamento Ue, perché se si lascia la questione ai singoli Stati membri con diversi margini di manovra, si può arrivare a pericolose distorsioni interne. Qui si può pensare a debiti comuni, sul modello del Piano di Rilancio Ue, ma solo per finanziare investimenti strategici che portano anche alla crescita. Sono quelli che Mario Draghi ha definito i “debiti buoni”. Penso anzitutto al settore tecnologico-militare, che ha importanti ricadute poi anche per l’industria civile, o al sostegno finanziario dell’Ucraina. Per altri, con ricadute di crescita meno chiaro, meglio utilizzare i fondi del bilancio Ue.

E poi c’è il ruolo dell’euro…
Esatto. Siamo in una realtà in cui ormai il denaro è un’arma politica. Una valuta forte può diventare uno strumento prezioso per l’Ue.

Chiudiamo con la Cina. La posizione di Bruxelles è “derisking, not decoupling”.
È giusto? Sì, ma bisogna stare molto attenti a come si fa il “derisking”, che può facilmente diventare un “decoupling”. Si tratta di analizzare attentamente le dipendenze. Un esempio: con la pandemia abbiamo visto la dipendenza dalla Cina per le mascherine. Ma sarebbe un errore dire che allora la dipendenza riguarda l’intero settore sanitario.