Economia

IL VERTICE. L’Europa alza la posta «Servono più sacrifici»

Franco Serra martedì 18 maggio 2010
Da locomotiva della crescita a locomotiva del rigore: additando l’esempio della Germania per inserire nelle Costituzioni nazionali un limite al deficit di bilancio, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaüble ha ufficializzato una svolta nella politica europea di Berlino. La riunione dei Sedici dell’euro si è svolta in un’atmosfera appesantita dal calo della moneta unica, scesa ieri ai minimi da quattro anni sul dollaro, sotto quota 1,23. Il presidente dell’Eurogruppo, lo riconosce preoccupante ma con una sfumatura. «Il livello del tasso di cambio tra euro e dollaro non è allarmante di per sé – ha detto Jean Claude Juncker – ma preoccupa la rapidità con cui il tasso si deteriora».Con gli altri colleghi dell’Ue i ministri dell’euro discutono oggi su nuove regole anti-deficit e si preparano a decidere – piaccia o non piaccia alla City e al governo di Londra – su come imbrigliare gli hedge fund e altri strumenti essenzialmente speculativi. Da Atene intanto è stata annunciata una proposta agli Usa per sospendere il mercato dei Cds, titoli di assicurazione anti-default usati anch’essi in funzione speculativa. A conferma dell’irrigidimento della Germania per una politica europea di risanamento a marce forzate, ieri Schaüble è stato chiarissimo.«Serve un freno sicuro al deficit», ha detto Schaüble e per fissare «un limite massimo invalicabile» il modo migliore è «fare come la Germania», che l’estate scorsa – senza la minima consultazione con i partner – ha inserito nella Costituzione federale l’obbligo di non superare dal 2016 in poi un deficit pari allo 0,35% del Prodotto interno lordo: il che significa scendere dall’attuale 5% del Pil con tagli di una decina di miliardi l’anno. Una cura dimagrante assai più severa di quella richiesta dal Patto di stabilità che prevede un deficit massimo del 3%, che nessun Paese dell’euro rispetta. Abituata per decenni a essere considerata il motore trainante della crescita dell’Ue, la Germania non rinuncia dunque a rivendicare un ruolo guida: gli assegna però un obiettivo assai meno facile da far accettare ai partner, quantomeno nei termini drastici sostenuti ora da Schaüble e preannunciati nei giorni scorsi Angela Merkel, che alla vigilia della riunione dei ministri dell’euro è stata tassativa. Il piano da 750 miliardi varato sette giorni fa, ha detto il cancelliere tedesco, non mette certo la parola fine ai rischi che gravano su Eurolandia e non serve ad altro che a «guadagnare tempo» per risolvere i problemi di fondo e cioè la bassa competitività di alcuni Paesi e il livello eccessivo dei loro deficit e del loro debito pubblico. In più, Angela Merkel considera del tutto insufficiente il programma di risanamento finanziario proposto nei giorni scorsi dalla Commissione europea, che vorrebbe tra l’altro sottoporre al vaglio di Bruxelles le leggi di nazionali di bilancio prima che queste vengano presentate in parlamento. Che la strada "costituzionale" anti-deficit non sia per loro percorribile lo hanno chiarito in molti dopo la sortita di Schaüble: tutti d’accordo sulla necessità di indurire il vecchio Patto di stabilità per sostenere la difficile operazione di risanamento dei conti, e quindi garantire la buona salute dell’euro, ma la grande maggioranza dell’Eurogruppo teme che misure di austerità troppo drastiche e in tempi troppo stretti strangolino la già debole ripresa dell’economia.Condannando alla recessione non solo i Paesi più esposti come Grecia, Spagna e Portogallo. Di questa preoccupazione si è fatto interprete ieri il presidente dell’Eurogrupo Jean Claude Juncker, che ha rimbeccato il cancelliere con una severità senza precedenti. A chi gli domandava cosa pensasse delle dichiarazioni di Angela Merkel, Juncker ha risposto che «certe persone farebbero meglio a riflettere prima di parlare e a volte farebbero meglio a star zitte, nell’interesse dei mercati e dei cittadini europei». Per Juncker è «del tutto ovvio» che i governi facciano ogni sforzo per ridurre deficit e debito, non però a scapito della crescita.