Scenari. L'energia, l'Africa e la strada per la pace: la visione di Descalzi
Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, alla Festa di Avvenire di Matera
Al primo giorno della Festa di Avvenire a Matera, nell’incontro con il cardinale Mauro Gambetti, il vescovo Vincenzo Orofino e il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, Claudio Descalzi ha offerto al pubblico riunito nella città lucana una lettura profonda dello scenario globale e delle sfide della transizione energetica.
L’amministratore delegato dell’Eni concorda con quanti notano che con l’invasione dell’Ucraina si stanno definendo due poli contrapposti: da un lato quello occidentale, dall’altro quello che potremmo definire russoasiatico. «Ora, questa è una mia opinione personale. Ma penso che quando la Russia ha attaccato l’Ucraina avesse già predisposto alleanze che si basano, ancora una volta, sull’energia – spiega Descalzi –. Ci sono Cina e India, che hanno 3 miliardi di abitanti e presto arriveranno anche a 4 miliardi, ma non hanno energia. E c’è la Russia, che ha un Pil inferiore a quello della Spagna ed è piena di energia. Questi sono due poli che naturalmente si attraggono. Anche il Medio Oriente va verso questo mercato. Dall’altro lato ci siamo noi. L’America è autonoma per l’energia. L’Europa è invece un grande mercato che si sta atrofizzando perché di energia non ne ha».
Una delle soluzioni “tecniche” possibili per uscire da questa situazione critica, Descalzi lo sta ricordando almeno dai primi giorni del conflitto, è quella di riallacciare il dialogo con l’Africa. «Per un periodo molto lungo l’Europa ha escluso il Sud. Ha preso l’energia dalla Russia e dalla Norvegia, trascurando il Mediterraneo. Le connessioni tra Spagna e Francia praticamente non ci sono, quelle tra Italia e Nord Europa sono scarse. Questo modello ora è tutto da rifare – avverte l’Ad dell’Eni –. Dobbiamo aprirci all’Africa, dobbiamo essere i loro compagni di viaggio e aiutarli a svilupparsi. L’Africa è un grande continente dove presto vivranno 2 miliardi di persone, senza energia e a rischio fame. Africa ed Europa sono due componenti eterogenee che si devono accoppiare per il bene di entrambi».
«Dobbiamo aprirci all’Africa, dobbiamo essere i loro compagni di viaggio e aiutarli a svilupparsi.
In Eni dal 1981, è chiaro che Descalzi ha in mente il modello di collaborazione tra impresa e territorio che ha caratterizzato, da sempre, la multinazionale italiana. «L’idea di Eni è quella di rinunciare a un po’ di profitto per creare valore per la comunità – spiega il manager alla festa di Avvenire –. In Africa tutti hanno cercato petrolio, perché si esporta facilmente. Noi abbiamo cercato anche e soprattutto gas, perché abbiamo deciso di svilupparlo per i mercati domestici, così da dare energia al territorio. Questo è diventato fondamentale negli ultimi 20 anni. Rinunciamo a un po’ di profitti, investiamo sulle infrastrutture locali, li aiutiamo a lasciare il carbone e le biomasse, che nell’Africa subsahariana uccidono 350.000 persone all’anno. Questo nostro modo di agire ha creato una porta, un dialogo, un rapporto di reciproca credibilità».
Dietro questo approccio agli altri Paese c’è molta tradizione cristiana. Descalzi, parlando del tema della fratellanza al centro dell’incontro, lo dice apertamente. «Si è credibili quando si dimostra di essere capaci di rinunciare a se stessi. Il Vangelo ci insegna che quando diamo agli altri diventiamo ancora più forti, perché gli altri ci rendono forti. Questa è la chiave vera di comunità. Ma c’è bisogno di passare da un concetto di profitto, cioè materiale, a un concetto di valore, spirituale. Vale per un’azienda, vale per chi gestisce una comunità: se parliamo dei valori, che sono l’obiettivo finale che dobbiamo raggiungere e che per noi sono valori cattolici, allora apriamo le porte del nostro interlocutore».
«Si è credibili quando si dimostra di essere capaci di rinunciare a se stessi. Il Vangelo ci insegna che quando diamo agli altri diventiamo ancora più forti, perché gli altri ci rendono forti. Questa è la chiave vera di comunità. Ma c’è bisogno di passare da un concetto di profitto, cioè materiale, a un concetto di valore, spirituale»
Questo ragionamento l’Ad di Eni lo allarga ai nodi della guerra, senza volerne fare una questione politica. «Io penso che ci siano dei momenti in cui riconoscere di essere deboli può diventare una forza – spiega dialogando con Tarquinio –. Ed è chiaro che se tu vuoi sempre essere più forte e non lo sei può esserci un problema. Quindi devi essere forte nelle tecnologie, nell’intelligenza, nella capacità di capire gli altri, non nel fare braccio di ferro. Non voglio entrare in nessun tipo di giudizio politico, ma dico che se facciamo davvero la rivoluzione della contraddizione cristiana questa è la soluzione: quando siamo umili, poveri e deboli, in quel momento possiamo conquistare il mondo. Ma questo è un sacrificio del proprio ego che l’Occidente deve fare. In questo momento nessuno si sacrifica e tutti combattono, abbiamo perso proprio la connessione con la spiritualità».
Eni resta un’azienda che ottiene da gas e petrolio il grosso dei suoi profitti, nonostante stia investendo sempre di più sulle energie rinnovabili. Sulle esigenze della transizione energetica Descalzi non si nasconde. «Noi abbiamo iniziato la trasformazione della società otto anni fa e abbiamo investito più di 7 miliardi di euro in tecnologie per le rinnovabili – ricorda l’Ad di Eni, in carica dal 2014 – . Siamo partiti dal principio che ci vuole un mix energetico. Non possiamo pensare che un solo tipo di energia possa sostituire tutti gli altri. Nella storia non è mai successo. Dobbiamo usare tutte le tecnologie a disposizione: l’eolico, il solare, ma anche l’idrogeno, la fusione nucleare a cui ci stiamo avvicinando… ricordando però che la prima fonte energetica globale oggi è ancora il carbone. È bello parlare di futuro, ma dobbiamo ricordarci che noi viviamo in questo momento e abbiamo bisogno di energia e di togliere la CO2 che stiamo emettendo. Ci vogliono investimenti, non ideologie: un vettore energetico è uno strumento per l’uomo, non una fede».