Globalizzazione. Le tredici strozzature del commercio globale
Una nave cargo passa nei pressi del porto di Baltimora, negli Stati Uniti
Non sempre se si chiude una porta si apre un portone. Da quando navigare nel Golfo di Aden è diventato pericoloso, per via dei ribelli yemeniti, il prezzo di un container sulla tratta Shanghai-Genova è passato da 1.400 a 6.000 dollari. La nuova rotta che evita Suez allunga il viaggio di altrettanti chilometri; tanti ne servono per passare attraverso il Capo di Buona Speranza. Il biglietto lo pagheranno i consumatori: dal solo canale di Suez passa il 12 per cento del traffico mercantile mondiale (che vale 14,2 migliaia di miliardi di dollari) e il 40 per cento di quello nazionale.
Il ministro del Mare, Nello Musumeci, ammette che «non si possono dare risposte e non si può disegnare una previsione a medio e lungo termine ». Tuttavia, il reshoring in atto nei Paesi del Nord Africa apre nuove opportunità al nostro Paese e il governo invoca una politica euromediterranea più convinta. Suez è solo uno dei “choke points”. Sono i colli di bottiglia del mare, passaggi stretti e obbligati tra gli Oceani. Chi li controlla, controlla i commerci. Bloccarli genera dei costi, che ricadono sulle popolazioni più vulnerabili. Egitto e Nigeria saranno interamente dipendenti dalle importazioni di cereali entro il 2050, mentre Russia e Canada beneficeranno della maggiore domanda. Ad ogni “porta” che si chiude, chi ha fame sta peggio.
Ieri, Assagenti ha dedicato la propria assemblea di Genova a discutere l’importanza di queste strozzature, in un mondo che conta 50 guerre. Possono fermare da un momento all’altro più dell’80% dell’interscambio commerciale. Secondo il Centro Giuseppe Bono, che ha stilato il rapporto su traffici e conflitti, quasi il 50 % delle aree strategiche, attraverso le quali i traffici transitano, è a rischio. Non solo a causa dei conflitti. La siccità, ad esempio, limita l’operatività nel canale di Panama; anche uno sciopero locale può generare un effetto domino. Senza che ci sia una superpotenza in grado di fermarlo: «anche l’impegno degli Usa risulta del tutto inadeguato » afferma il rapporto. Aggiungendo che «in alcune crisi si potrebbe usare la rotta artica, che però passa interamente in territorio russo».
Sono 13 le strozzature planetarie, 8 delle quali davvero strategiche. Sono il Canale di Suez, tra Mediterraneo e Mar Rosso, il Canale di Panama, che taglia in due l’America centrale, lo Stretto di Malacca, nel sud est asiatico, lo Stretto di Hormuz, fra Golfo Persico e Golfo di Oman, lo Stretto di Gibilterra, di passaggio tra il Mar Mediterraneo e l’oceano Atlantico, l’accoppiata Bosforo e Dardanelli, che permette il collegamento tra Mediterraneo e Mar Nero, lo Stretto di Bab-el-Mandeb, tra Mar Rosso e Golfo di Aden e il Capo di Buona Speranza, sulla punta meridionale dell’Africa. Esistono poi choke point secondari, tra cui la rotta artica e lo Stretto di Sicilia, ultimamente molto frequentato dai russi.
Per avere un’idea degli interessi in gioco, bisogna sapere che il 55% di grano, mais, riso e soia transita attraverso i choke point: quasi 400 milioni di tonnellate di grano sui 784 milioni di produzione mondiale e circa 390 milioni su 741 milioni di tonnellate di riso prodotto. Oggi, con le due guerre “vicine”, in Ucraina e in Medio Oriente, almeno cinque choke point sono in bilico, tra Mar Nero, Mar Rosso e Mediterraneo, e un singolo atto di pirateria può innescare una carestia. Il Sud del mondo è la vittima predestinata di queste tensioni.
«L’Europa ha delle responsabilità – ha commentato Musumeci –: è stata miope verso il continente africano». Ma non rischiano solo gli africani, perché esistono anche dei choke point sommersi. Nel Mar Rosso quattro cavi di comunicazione sottomarini tra l’Arabia Saudita e Gibuti sono stati messi fuori uso: «sedici di questi cavi sottomarini per la trasmissione dei dati passano per 1.200 miglia attraverso il Mar Rosso prima di salire sulla terraferma in Egitto e raggiungere il Mar Mediterraneo, collegando l’Europa all’Asia. Negli ultimi due decenni questa rotta è diventata uno dei maggiori punti di strozzatura di Internet al mondo e, probabilmente, il luogo più vulnerabile della rete» afferma il rapporto.