Crescono e investono di più rispetto a quelle tradizionali, valorizzando i dipendenti e le comunità nelle quali sono inserite. Le società benefit sono un eco-sistema dinamico che in questi anni, la legge istitutiva è del 2016, ha messo radici in Italia. Pur essendo una realtà di nicchia, rappresentano l’1,23 per mille delle imprese sono in crescita esponenziale e sembrano essere più resistenti alla crisi delle altre. Ad analizzare per la prima volta in maniera sistematica l’evoluzione del fenomeno dal punto di vista economico-patrimoniale, la “Ricerca nazionale sulle società benefit 2024”, realizzato da un gruppo esperti composto da Nativa, prima società benefit in Europa e B Corp in Italia che da dieci anni supporta le aziende che vogliono intraprendere il percorso di trasformazione in chiave sostenibile, il dipartimento di ricerca di Intesa SanPaolo, Assobenefit (l’associazione delle società benefit), Infocamere, (società delle Camere di Commercio italiane per l’innovazione digitale) e ancora la Camera di commercio di Brindisi-Taranto e il dipartimento di scienze economiche dell’Università di Padova.
Ad emergere è uno spaccato che conferma la validità economica di questo modello con migliori performance rispetto a quelle “tradizionali”. Si parla di un aumento del fatturato del 37% dal 2019 al 2022 più del doppio di quello delle altre aziende e una crescita più elevata dell’Ebitda, il rapporto tra margine operativo lordo e ricavi che è passato dall’8,5% al 9% in tre anni, a fronte di un incremento dall’8,1% all’8,3% per le società non benefit. Secondo lo studio a fine 2023 le società benefit in Italia erano 3.619 in crescita del 37% rispetto all’anno precedente. La pandemia ha agito come acceleratore portando le imprese a riflettere sulle proprie priorità e strategie. Nel biennio 2020-21 sono più che raddoppiate, passando da 805 a 1697, e il loro addetti sono passati da 18mila a 98mila con una crescita superiore al 400%. Alla fine del 2023 gli addetti hanno toccato quota 188mila con un’incidenza del 10,4 per mille del totale degli occupati in Italia.
La ricerca evidenzia come le società benefit riconoscano maggiormente il valore dei propri dipendenti, il costo mediano per addetto è di 41mila euro, 3mila in più rispetto alle aziende tradizionali, che si ripercuote anche in una maggiore produttività con il valore aggiunto per dipendente pari a 62mila euro rispetto alla media di 57mila euro. Queste realtà sono per definizione innovative: investono di più e hanno progetti a lungo termine. Tra quelle manifatturiere ad esempio, la quota di imprese internazionalizzate è del 41%, sette punti percentuale in più rispetto alle altre, la richiesta di brevetti e di marchi registrati a livello internazionale è del 24 e del 35% (a fronte di una media del 13 e del 19% per le altre realtà).
La distribuzione territoriale conferma il primato della Lombardia sia in termini assoluti (1218, con il Lazio al secondo posto con 394 realtà e il Veneto al terzo con 359) che in termini relativi (2,22 imprese ogni mille), ma in questo caso a emergere con forza alle spalle della regione leader è il Nord-Est con nell’ordine Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Veneto tutte con valori al di sopra dell’1,5 per mille imprese. Spostando l’ottica nel campo del valore generato, è ancora la Lombardia a risultare prima per valore della produzione (7,2 miliardi di euro nel 2022), seguita da Emilia Romagna (a quota 4,8 miliardi) e Veneto (3.4 miliardi). Per quanto riguarda invece il settore attività professionali, servizi di informazione e manifattura sono i più rappresentati.
Gli economisti del Research Department di Intesa Sanpaolo Giovanni Foresti e Sara Giusti evidenziano l’impatto positivo sulla crescita che avrebbe una maggiore diffusione delle società benefit. «In queste imprese l’attenzione alla sostenibilità è spesso accompagnata da un impegno deciso in innovazione e internazionalizzazione - sottolineano -. Una maggiore diffusione di queste strategie può favorire un’accelerazione della crescita del Pil italiano e, al contempo, garantire la distribuzione di ricchezza nel territorio. In prospettiva una crescita superiore può dunque essere anche più sostenibile e inclusiva».
La ricerca è stata realizzata mettendo a confronto i bilanci di mille società benefit con quelli di 15mila aziende tradizionali appartenenti agli stessi settori e classi dimensionali. Si tratta del primo lavoro su larga scala che verrà portato avanti da più partner qualificati con altri approfondimenti nei prossimi tre anni. «L’analisi rappresenta la prima ricerca sulle performance economico-reddituali basata su un numero significativo di società benefit» spiegano i due economisti. Non sono soltanto le grandi aziende, come si potrebbe pensare, ad intraprendere questo percorso. «In termini di incidenza le grandi imprese sono più rappresentate, sono pari al 16,83 per mille delle società registrate. Sono 89 di cui 21 certificate nel corso del 2023 con un incremento di oltre 35mila addetti, come valore assoluto c’è una buona presenza di piccole realtà: le imprese con meno di nove addetti sono 2.683, pari all’1,01 per mille». L’anno della pandemia è stato un vero e proprio spartiacque. «Le società benefit sono state introdotte nel 2016 quindi si tratta di un fenomeno recente, ma il 2020 è stato l’anno della svolta che ha spinto tante imprese a ripensarsi, basti pensare allo smart working e alla transizione digitale - concludono Foresti e Giusti -. In questo processo si è inserita una maggiore sensibilità verso i temi sociali e ambientali».