Economia

Manovra. Le Partite Iva di Acta: pochi soldi e molta incertezza

Francesco Riccardi venerdì 17 ottobre 2014
«Siamo stati nominati, dunque esistiamo. Ma la soddisfazione finisce qui». Ugo Testoni è un copywriter e fa parte del direttivo di Acta, l’associazione di freelance che sta sollecitando con un milione di messaggi il governo a occuparsi finalmente del popolo dei professionisti a Partita Iva.Nella legge di stabilità sono stati stanziati 800 milioni per 900mila Partite Iva. Secondo alcuni calcoli, lo sconto sarà tra 800 e 1.000 euro. Sarete contenti...In realtà ci sono pochi soldi e molta incertezza. 800 milioni non sono tanti, se si considera che ne hanno stanziati 140 per i forestali o li confrontiamo con gli 11 miliardi per i lavoratori dipendenti e i 7 per le imprese. Ma soprattutto non è affatto chiaro il ridisegno del regime agevolato per le Partite Iva. Su questa misura noi siamo sempre stati piuttosto critici, perché regressiva e non progressiva, ma adesso si parla comunque di un aumento dell’imposta dal 5 al 15%.Viene però ampliata la platea di chi potrà usufruirne.Vero. Finora i beneficiari erano i giovani, ora si capisce che la Partita Iva non è solo uno strumento di chi comincia a lavorare, ma anche di molti professionisti e di tanti 40-50enni che cercano una nuova possibilità di lavoro. Il quadro però non è chiaro. Per quel che si è potuto comprendere da una prima lettura della legge di stabilità, il nuovo regime verrà "scontato" al 10% per i primi tre anni delle nuove attività. E per chi oggi gode del regime agevolato al 5% non dovrebbe cambiare nulla fino al compimento dei 35 anni o al completamento del quinquennio di utilizzo.Cambiano pure i limiti di ricavi: dai 15.000 euro ai 40.000 (ora è 30.000), con differenze però a seconda dell’attività svolta.Sì, le agevolazioni per chi inizia vanno bene. Tutto questo, però, ha anche un risvolto negativo: la coesistenza di regimi molto diversi finisce infatti per incidere sulle tariffe e quindi sulla concorrenza. Si rischia una sorta di "effetto <+CORSIVOA>dumping<+TONDOA>". E poi soprattutto restano le discriminazioni rispetto agli altri lavoratori.Quali discriminazioni?Non abbiamo diritto alla malattia, pur pagando dei contributi sociali al riguardo. E siamo stati esclusi anche dai benefici della nuova Aspi, il sussidio di disoccupazione. In sostanza il Jobs act ci ha del tutto dimenticati. Perciò abbiamo lanciato la campagna "Caro Matteo, non siamo sereni" con le nostre richieste contenute nel #JobsActa.Ma per godere di sussidi occorre versare contributi...E noi ne paghiamo più dei lavoratori dipendenti. Oggi l’aliquota è il 27,72%, dal 2015 il 29,72% fino al 33,72% nel 2019. Percentuali che anticipiamo interamente noi sul lordo ricevuto come compenso. Rispetto a un dipendente paghiamo di più come contribuzione pensionistica, un po’ meno come oneri sociali e assai più come imposizione fiscale. La grande differenza è che il dipendente è coperto se si ammala, si infortuna o se rimane disoccupato, noi no. E con parte dei nostri soldi si finanziano i sussidi per altre categorie di lavoratori. Concludendo, per gli autonomi niente bonus da 80 euro, niente ammortizzatori sociali e nessuno sconto sui contributi Inps che stanno crescendo a livelli insopportabili. Altro che contenti, altro che #stiamosereni...