Le imprese che resistono meglio all'impatto della crisi sono quelle che innovano, soprattutto se lo fanno attraverso processi integrati, cioè sia di prodotto-processo sia nel marketing, nell'organizzazione del lavoro e negli interventi formativi. È quanto emerge da
Formare per innovare, la nota informativa pubblicata dall'Isfol, incentrata sulle dinamiche che intercorrono tra innovazione di prodotto/processo e sviluppo delle risorse umane.L'Italia, su questo fronte, è ancora indietro rispetto agli altri competitor europei. Poco meno della metà delle imprese innovative italiane (49,3%), infatti, investe su forme di innovazione integrata rispetto al 58,7% delle tedesche, al 55,4% delle austriache, al 54% delle inglesi e delle belghe, al 53,8% delle svedesi. Anche Paesi emergenti quali la Turchia (51,1%) o la Croazia (53,1%) hanno maggiori tassi di innovazione integrata. Questa modalità debole di risposta alla crisi delle aziende italiane trova conferma anche nella tendenza a individuare soluzioni innovative di processo-prodotto al proprio interno senza scambi con l'ambiente di riferimento. Solo il 12,1% di questa tipologia di imprese innovatrici collabora con altre imprese in forma aggregata o con fornitori, università e centri di ricerca. Il valore medio europeo è del 25,5%.Le imprese che fanno formazione interna hanno realizzato innovazione di prodotto nel 38,8% dei casi; percentuale che scende al 19,7% per le aziende che non hanno svolto attività di formazione. Le imprese formatrici hanno fatto innovazioni di processo nel 25,3% dei casi, contro al 10% delle non formatrici. Le imprese formatrici che hanno introdotto innovazioni organizzative sono il 36% a fronte del 14,6% delle non formatrici. Andamento analogo relativamente all'innovazione di marketing: si passa dal 22% delle formatrici al 10% circa delle non formatrici.Nel XIV Rapporto sulla formazione continua, appena realizzato dall'Isfol, sono stati anticipati i risultati di una ricerca sui modelli di
governance territoriale per il supporto alla generazione di conoscenze e innovazione, prendendo a riferimento Piemonte, Veneto e Puglia, da cui è emerso che i processi di innovazione sono contraddistinti da un lato dalle relazioni con gli attori esterni all'azienda e dall'altro dalla capacità di assorbimento da parte dell'azienda.Una dimensione che richiede una cultura organizzativa basata sullo sviluppo delle risorse umane, il sostegno alla loro motivazione e alle capacità di iniziativa e discrezionali, per fare in modo che l'innovazione venga a rappresentare nell'impresa un processo integrato nelle attività aziendali routinarie, condiviso il più ampiamente possibile. Un ulteriore importante fattore di innovazione è rappresentato dall'aggregazione di imprese, in particolare i contratti di rete, che stanno mostrando validi risultati sia nel garantire il superamento del limite dimensionale delle aziende italiane nel confronto con il mercato globale sia nel facilitare il contagio reciproco tra le capacità innovative dei singoli.A fine dicembre 2013, sono 1.353 i contratti di rete registrati presso le Camere di commercio, con 6.435 imprese aderenti. Circa il 50% delle imprese aderenti si trovano in tre regioni: Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna. Prevalgono i settori dei servizi (44,3% del totale) e dell'industria in senso stretto (32,5%).