Energia. Le importazioni di petrolio russo in Italia sono quadruplicate
L'area della raffinazione Isab di Priolo Gargallo, in Provincia di Siracusa
In Italia in questi mesi è diventata il punto di approdo principale per il petrolio russo trasportato via nave in Europa. Lo ha rivelato il Financial Times mostrando i dati raccolti dalla società di analisi di mercato Kpler. Dall’inizio di maggio la Russia ha esportato 450mila barili di petrolio al giorno in Italia, più di quattro volte l’export del mese di febbraio, il mese in cui è iniziata l’invasione dell’Ucraina.
Ci sono due ragioni dietro questa impennata di acquisti di petrolio russo. La prima è il caso della raffineria Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. L’impianto, la più moderna raffineria d’Italia, appartiene a Litasco, società svizzera del colosso russo Lukoil, che l’ha comprato qualche anno fa da Erg. Lukoil al momento non è nella lista degli enti sanzionati dall’Unione Europea, ma per cautela le banche hanno smesso di concedere a Isab linee di credito. Senza i tradizionali canali di finanziamento, la raffineria che prima comprava greggio da fornitori diversi ora acquista solo il prodotto di Lukoil, la sua controllante. Se prima dell’invasione il greggio russo rappresentava solo il 30% del prodotto raffinato a Priolo ora è il 100%. Se l’Ue dovesse decidere di fermare gli acquisti di petrolio russo, Isab sarebbe costretta a spegnere gli impianti: la sorte dei suoi mille dipendenti e dei diecimila lavoratori collegati all’indotto in una terra povera di lavoro come la Sicilia preoccupa le istituzioni locali e nazionali. Difatti non si esclude una nazionalizzazione della società, che a quel punto potrebbe tornare a lavorare “normalmente” diversi tipi di greggio.
La seconda ragione dietro la crescita delle importazioni di petrolio russo in Italia è il ruolo del porto di Trieste. Parte da Trieste infatti la Transalpine Pipeline (Tal), oleodotto da 753 chilometri che riceve il carico delle petroliere nel Mediterraneo e accompagna il greggio fino alle raffinerie della Baviera e del Baden-Württemberg. Le due grandi raffinerie a cui arriva quel petrolio sono la MiRo di Karlsruhe e la Bayernoil di Neustadt. In entrambi gli impianti il gruppo statale del petrolio russo Rosneft è l’azionista di maggioranza relativa. In cerca di sbocchi per un petrolio sempre più difficile da vendere in Europa, è naturale per la Russia spedirlo intanto alle proprie raffinerie, che non possono permettersi di fare le schizzinose sui fornitori. Passando, nel caso di Miro e BayernOil, per l’Italia.
Mentre cerca senza successo l’unanimità sulle sanzioni al petrolio russo (l’Ungheria si oppone e blocca tutto) l’Unione Europea ha tagliato drasticamente le importazioni. Secondo le stime di Mike Muller, capo di Vitol Asia, le forniture di petrolio russo all’Europa sono scese ad aprile a solo 1 milione di barili al giorno, il minimo degli ultimi undici anni, meno della metà dei 2,3 milioni di barili quotidiani di acquisti di prima dell’invasione.
Nel frattempo Mosca si è organizzata per trovare compratori alternativi. Non è difficile, considerato che il prezzo dell’Urals, il greggio siberiano, è ora di circa 35 dollari al barile inferiore a quello del Brent, il prezzo di riferimento del petrolio europeo (prima della guerra lo “sconto” per l’Urals era attorno agli 2-3 dollari al barile). La Cina ha preso a comprare quasi 2 milioni di barili di petrolio russo al giorno, circa 300mila in più rispetto alla media del 2021 secondo ricerche citate da Reuters. Le importazioni di gas russo in India, che in media erano di 33mila barili al giorno nel 2021, si sono impennate fino ai 700mila barili al giorno di aprile e sembrano destinate a salire ancora.