Economia

Italiani in fuga. Le grandi imprese si organizzano per riportare in Italia i "cervelli"

Giovanna Sciacchitano martedì 9 luglio 2019

L’esercito dei giovani expat è numeroso e in crescita: oggi il 30% dei nostri laureati va all’estero. A volte si tratta di un’opportunità, spesso di una scelta obbligata e per il Paese si traduce in una perdita di competenze. Aziende e associazioni imprenditoriali si stanno organizzando per riportarli in patria. Va in questo senso il lancio di 'Talents in motion', la prima piattaforma onlineche mette in contatto le aziende italiane con i talenti all’estero, promuovendo le opportunità lavorative made in Italy a livello internazionale. L’iniziativa è stata pensata dalla 'cacciatrice di teste' Patrizia Fontana e ha potuto contare sul sostegno di Camera di Commercio di Milano Monza Brianza e Lodi, Yes Milano, Regione Lombardia, Unione Confcommercio, Assolombarda, Anitec-Assinform, Confindustria Digitale e Forum della Meritocrazia. Oltreché su 40 grandi gruppi italiani ed esteri che promuovono l’attrattività del nostro Paese presso migliaia di giovani trasferiti fuori dai confini o stranieri che vogliono lavorare in Italia. La nostra scarsa attrattività di talenti è legata alla ridotta crescita economica del Paese e ai limitati investimenti in innovazione. Secondo le stime la fuga di cervelli ha un costo in Italia di circa 14 miliardi di euro l’anno, equivalente a un punto percentuale del Pil. Sono circa 81mila gli studenti che hanno intrapreso percorsi professionali fuori dal-l’Italia, contribuendo in parte anche alla creazione del profondo divario che esiste con gli altri partner internazionali nel cam- po delle competenze digitali. Alcune opportunità potrebbero essere offerte dalla Brexit, come ha evidenziato Fontana, dal momento che l’82% degli accademici che lavorano in Gran Bretagna tornerebbe in Italia: «Sono ben 7mila gli studenti che seguono master e dottorati all’estero, ma nel 2017 in 5mila sono rientrati portando 500 milioni di euro come maggior Pil e il relativo know-how». Le cause della fuga di cervelli le ha evidenziate Veronica De Romanis, docente alla Luiss e a Stanford University di Firenze: «Siamo ultimi per crescita, abbiamo finanziato la spesa corrente e ridotto gli investimenti. Nella formazione rispetto alla media Ocse siamo molto indietro e solo il 13% è laureato in discipline scientifico-tecnologiche, le più richieste, contro la media del 19% in Europa». Ma perché i giovani lasciano l’Italia? L’85% pensa che il Paese in cui lavora offra un migliore contesto professionale e maggiori prospettive di carriera rispetto all’Italia. Secondo la metà il percorso si presenta poco remunerativo, per il 39% è troppo lento, ma un buon 42% teme che le proprie opportunità sarebbero limitate da clientelismo, familismo e corruzione. I dati emergono da un’indagine condotta dall’Ufficio Studi di PwC Italia su 130 giovani talenti italiani che vivono e lavorano all’estero. Il punto fermo preoccupante è che partono in tanti e pochi tornano. Interessante il fatto che il 74%, se ne avesse la possibilità, rientrerebbe, ma il 60% non si è attivato concretamente in questo senso. Per Andrea Toselli, ceo di PwC Italia «gli incentivi fiscali servono, ma oggi le aziende devono fare la propria parte non solo per attrarre talenti, ma anche per creare un contesto di lavoro stimolante, migliorare il work life balance e offrire un percorso di carriera più rapido e trasparente ». In Lombardia le occasioni di lavoro non mancano, come ha sottolineato Carlo Sangalli, presidente della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, tanto che un profilo professionale su tre risulta difficile da trovare. «Occorre rendere attrattivi i territori e lavorare sulla formazione – ha detto il presidente della Regione, Attilio Fontana –. Eventi come le Olimpiadi e portare a Milano il Tribunale dei Brevetti rappresentano un grande contributo».