Occupazione. Lavoro domestico, sfida emersione
Conclusa l’emergenza Covid, prossimo all’esaurimento l’effetto di emersione dei lavoratori irregolari, il settore del lavoro domestico si è stabilizzato su poco meno di un milione di addetti, 961mila per la precisione (+12% rispetto al 2019). Ma quelli regolari sono meno della metà dei lavoratori effettivi, stimati in 2 milioni. Il lavoro domestico, infatti, mantiene il poco invidiabile record del tasso di irregolarità al 52,3% oltre il doppio dell’agricoltura (24,4%) e più del quadruplo della media italiana (12%). Far emergere il so mmerso è quindi la priorità del settore e, non a caso, a questo tema è dedicato il IV Rapporto sul lavoro domestico dell’Osservatorio Domina che sarà presentato e discusso in Senato il 20 gennaio.
Una disamina approfondita, svolta in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa, l’Inps e l’Ilo, anche a proposito delle motivazioni che spingono le famiglie e gli stessi lavoratori a preferire l’attività in “nero”, spesso rimbalzandosi l’una l’altro la responsabilità della scelta. Il nodo resta soprattutto quello famiglie e dipendenti preferiscono “risparmiare” su contributi e imposte. E dunque il primo strumento che si potrebbe attivare per favorire la regolarizzazione è rendere interamente deducibili i costi sostenuti dalle famiglie per l’assistenza familiare, oltre a una serie di misure per garantire meglio i lavoratori con maggiori flussi d’ingresso degli stranieri, indennità di malattia e tutela della maternità. «La missione di Domina infatti – spiega il segretario Lorenzo Gasparrini – non è solo quella di offrire alle famiglie assistenza e servizi, ma anche contribuire alla consapevolezza della dignità del settore, perseguendo l’obiettivo del pieno riconoscimento del lavoro domestico e dei diritti di lavoratori e datori di lavoro».
Il peso del settore Favorire l’emersione, d’altro canto, è una scelta conveniente anzitutto per lo Stato. Domina ha infatti calcolato che la regolarizzazione del milione e 54mila addetti attualmente in nero comporterebbe un maggior gettito tra Irpef e contributi di 1,6 miliardi di euro. Il settore domestico, trattato appunto da Cenerentola nel nostro Paese, è in realtà il primo in Italia per numero di datori di lavoro (oltre 1 milione quelli regolari) e il terzo per numero di addetti, ha contribuito nel 2021 alla creazione di 17,6 miliardi di Valore aggiunto, pari all’1,1% del Pil nazionale. E la spesa delle famigl ie per l’assistenza – 8,1 miliardi per la componente regolare e 7 miliardi per quella irregolare (+8,4% nel 2021) – ha comportato un risparmio di 10,1 miliardi per le casse dello Stato (lo 0,6% del Pil). Si tratta infatti della cifra di cui l’amministrazione pubblica dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi a domicilio venissero ricoverati nelle strutture pubbliche.
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I milioni di lavoratori domestici irregolari secondo il Rapporto Domina, rappresentano il 52,3% del totale
48,7
L’età media dei lavoratori domestici Per le badanti è di 50,5, per le colf di 47
Assistenza agli anziani Proprio sul tema del bisogno crescente di assistenza agli anziani, il Rapporto Domina approfondisce in particolare la proposta di un assegno unico per la non autosufficienza, che razionalizzi e potenzi i diversi strumenti assistenziali per anziani e disabili, a cominciare dall’”accompagnamento”, sulla falsariga di quanto avvenuto con l’assegno unico per i figli. Un assegno unico, in questo caso, strettamente legato all’assunzione regolare di un operatore per l’assistenza, così da migliorare la condizione dei non autosufficienti e insieme favorire la regolarizzazione dei lavoratori e garantire allo Stato un ritorno positivo in termini di imposte e contributi sociali per 2,4 miliardi l’anno. L’intero costo dell’operazione– stimabile in 32,4 miliardi l’anno – sarebbe equiparabile ai 33 miliardi circa che lo Stato oggi impegna per la spesa “Long Term Care” in termini di prestazioni sanitarie, indennità di accompagnamento e interventi socio–sanitari per i non autosufficienti. Ma operando così si otterrebbe il duplice risultato di favorire lo sviluppo un lavoro di cura regolare, di qualità e certificato e nel contempo sostenere le famiglie nell’accudimento delle persone anziane e disabili nella loro casa. Il lavoro domestico è caratterizzato da una forte presenza straniera (70% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (85%), anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana. Nell’ultimo anno sono aumentati soprattutto gli uomini immigrati (+22,1%), che sono stati di fatto i primi beneficiari della “sanatoria”.
I risultati della sanatoria Secondo quanto abbiamo anticipato su Avvenire del 13 dicembre scorso, è stato lavorato oltre l’80% delle domande di sanatoria per il lavoro domestico e l’agricoltura, varata nel 2020. Più precisamente su 207mila domande presentate, 127.652 sono state accolte ed è stata rilasciato il relativo permesso di soggiorno, mentre 29.159 (il 14%) sono state respinte e per 4.383 è avvenuta una rinuncia. Questi dati dimostrano che le famiglie rispondono positivamente quando viene offerta l’opportunità di regolarizzare le posizioni dei lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno. Ma anche che il settore domestico rappresenta un primo canale d’ingresso nel mercato regolare del lavoro, anche per chi in realtà svolge altri mestieri. Un’analisi, svolta da Domina su dati Inps, infatti, ha rilevato come nel 2021 oltre il 9% dei lavoratori regolarizzati abbia subito cambiato settore di lavoro, o meglio ha utilizzato la sanatoria per regolarizzare la posizione “in nero” in un altro settore. Prima della regolarizzazione i collaboratori domestici e i badanti maschi rappresentavano l’11% della categoria, fra i rapporti di lavoro emersi la quota maschile sale addirittura al 55%. E se nella platea complessiva dei domestici solo un lavoratore su 10 ha meno di 40 anni, nel caso dei lavoratori emersi, i giovani sono la netta maggioranza: il 59%.