Lavoro domestico. Gli occupati sono quasi un milione
Un badante a passeggio con un anziano
I lavoratori domestici sfiorano quota un milione, nel 2021 il numero arriva a 961.358 unità. Lo affermano i dati dell'Osservatorio Domina (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico) che evidenziano anche il ruolo della componente immigrata e l'impatto della procedura di regolarizzazione avviata nel 2020. Il settore si conferma a prevalenza femminile (84,9%) e immigrata (70%), ma sono gli uomini stranieri a registrare l'incremento più forte (nel 2020 e nel 2021 sono la categoria che ha registrato l'aumento maggiore +62%), mentre quelli italiani sono raddoppiati dal 2012 al 2021, passando da 13mila a 25mila unità. Le lavoratrici straniere sono comunque il gruppo più numeroso e rappresentano il 57,5% del totale. Le italiane sono invece oltre un quarto del totale (27,4%) ma in ogni caso in crescita progressiva dal 2012. Il primo Paese per presenza è la Romania, che rappresenta il 21,6% seguono Ucraina (14,1%) e Filippine (10,1%). Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, «la presenza straniera è storicamente molto importante nel settore domestico. La regolarizzazione avviata nel 2020 ha rappresentato un'opportunità per le famiglie per mettere in sicurezza se stesse e i propri lavoratori, ma ha anche evidenziato le criticità del sistema attuale e del meccanismo stesso delle "sanatorie". Per superare queste criticità in modo strutturale, la piattaforma delle parti sociali ha proposto nel 2020 l'introduzione di quote annuali d'ingresso per lavoro domestico, superando la logica dell'emersione».
Anziani, per il 90% accuditi da familiari
Secondo una ricerca del Censis commissionata da Family Care (Agenzia per il lavoro controllata da Openjobmetis e autorizzata dal Ministero del Lavoro per offrire servizi di ricerca, selezione e somministrazione di assistenti familiari, più comunemente denominati badanti), il 70% degli italiani è consapevole di quanto gli anziani, con le loro pensioni, riescano ancora a essere di indispensabile sostegno economico. Il nesso tra anzianità e povertà è ancora diffuso nell’immaginario, ma è in buona parte infondato: gli anziani possiedono il 40% della ricchezza nazionale, il doppio rispetto a 25 anni fa, anche se spesso è condivisa con il resto della famiglia. In Italia, 1 famiglia su 3 ha al suo interno un percettore di pensione da lavoro. In questo senso, in Italia, un sistema di prossimità e comunitario a supporto degli anziani non autosufficienti esiste già e lo si può rafforzare. Il Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede fondi per la riforma a favore degli anziani non autosufficienti, ma a patto che venga realizzata entro questa legislatura (primavera 2023). Si tratta di circa 7,5 miliardi di euro per investimenti sul miglioramento della qualità della vita per le persone non autosufficienti, di cui 6,5 miliardi direttamente destinati agli anziani tendenzialmente non più autonomi:
- Due miliardi di euro per la transizione dalle Rsa a residenze comunitarie; Quattro miliardi per la modernizzazione dell'assistenza domiciliare; Un miliardo per gli ospedali di comunità che indirettamente riguardano gli anziani dei piccoli centri; Altri 500 milioni sono destinati alla prevenzione dell'istituzionalizzazione delle persone non autosufficienti (in maggioranza anziani).L’obiettivo è ambizioso, ma le risorse economiche potrebbero, da sole, non essere sufficienti. Due i problemi di difficile soluzione in breve tempo: il 60% dei posti letto si trova nelle quattro grandi Regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto), in rapporto al numero di abitanti in queste regioni ci sono dieci volte più posti letto che nelle grandi regioni del Sud (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia). Non è solo un fatto di “arretratezza strutturale”, ma anche soprattutto una tradizione culturale, per cui nel Mezzogiorno l’anziano è tenuto più a lungo dentro casa. Comunque, costruire nuove strutture è molto lungo ed è impensabile adeguare altri edifici; il sistema italiano già allo stato attuale soffre di una grave mancanza di personale specializzato (mancano almeno 100mila unità), la formazione professionale richiede tempi lunghi e una vera rivoluzione nei criteri di accesso. I canali per la ricerca del personale domestico e il livello di soddisfazione delle famiglieÈ il passaparola il metodo più utilizzato per la ricerca del personale domestico. A ricorrervi sono il 76,4% delle famiglie che hanno bisogno di una colf, il 70,8% nel caso delle badanti, il 61,6% per le baby sitter, a dimostrazione di come, nella ricerca del personale domestico, le famiglie tendano ad adottare una logica di prossimità, ricorrendo prevalentemente alla propria rete di conoscenze dirette e utilizzando meno i canali specializzati (agenzie per il lavoro, piattaforme online), percepiti come poco accessibili e più costosi. La rilevazione ha riguardato un campione di famiglie associate a Assindatcolf. Relativamente al livello di soddisfazione per il servizio reso dal collaboratore domestico assunto, nel caso delle colf l’82% delle famiglie ha trovato nel lavoratore una effettiva corrispondenza con le competenze richieste e l’area dell’insoddisfazione (che può portare anche alla decisione del licenziamento) si ferma al 18%. Nel caso delle badanti, il disallineamento tra attese e qualità professionali della persona impiegata riguarda invece un terzo delle famiglie: il 33,8%. Nel caso delle baby sitter, al 76,2% di famiglie soddisfatte si contrappone quasi un quarto di insoddisfatte. Il livello di soddisfazione è minore tra i datori di lavoro più giovani, under 55 anni. Tra questi, il 22,7% ha riscontrato un certo grado di inadeguatezza rispetto a quanto ci si aspettava dalla colf assunta e l’1,6% sta pensando di procedere alla sostituzione. Tra chi rientra in questa classe di età, nel caso delle badanti assunte gli insoddisfatti arrivano al 41%.
Alle Rsa le famiglie preferiscono le badanti
Per assistere un proprio familiare anziano o non autosufficiente, il 58,5% delle famiglie non esita a scartare il ricorso a una Rsa (Residenza sanitaria assistenziale), preferendo l’assunzione di una badante. Solo il 41,5% delle famiglie prende in considerazione la scelta di una Rsa: di queste, il 21,3% si rivolgerebbe a una struttura convenzionata, il 14,2% a una privata, il restante 6,0% a una pubblica. Le donne mostrano l’orientamento più marcato ad evitare una Rsa (il 60,1% rispetto al 56,1% degli uomini). Anche gli stessi anziani sono scettici sul ricorso a una Rsa: dal 50,8% di chi ha un’età inferiore ai 55 anni si passa al 52,9% di chi ha un’età compresa tra 55 e 64 anni, per salire al 69,5% degli over 64. Il 53,4% delle famiglie considera prioritario alleviare la fatica che grava sui caregiver attraverso l’intervento di personale esterno. Tra le soluzioni da adottare a favore dei caregiver viene indicato il riconoscimento di forme di reddito che possano almeno in parte ricompensare il ruolo sostitutivo svolto a causa della mancanza di strumenti di welfare adeguati per l’assistenza di persone anziane o non autosufficienti (25,5%). A seguire, si auspica la possibilità per il caregiver di lavorare da casa (9,0%), mentre per il 6,7% servirebbe l’assicurazione contro gli infortuni domestici e la possibilità di poter accedere a una pensione sulla base di contributi figurativi. Infine, per il 5,4% sarebbero utili percorsi formativi per qualificare l’assistenza offerta al familiare.
Un corso rivolto ai giovani disoccupati
Il mondo del welfare, e in particolare le necessità di prendersi cura delle persone fragili, in crescita esponenziale, contiene opportunità di occupazione per i giovani. È la sfida di Dynamo Academy che, in co-progettazione con l’agenzia formativa della Regione Toscana Mestieri Toscana, ha avviato un corso di formazione completamente gratuito – grazie al Gruppo Assicurativo Intesa Sanpaolo Vita – per 20 giovani tra i più bisognosi, 20 cosiddetti Neet, ovvero giovani che non hanno un lavoro né occupazione o formazione in corso. Il corso in Tecnico dell’animazione socio educativa ha 300 ore di teoria e 300 di pratica in realtà attive in ambito sociale, tra associazioni e cooperative in Toscana. L’obiettivo è che le competenze acquisite possano diventare per i giovani un’opportunità di occupazione qualificata, a beneficio di persone fragili. In aula ragazzi che hanno già conseguito un diploma di scuola superiore e alcune donne giovani non occupate.