Economia

Welfare. Cosa insegna la Svizzera che vota per dare la 13esima ai pensionati

Massimo Calvi lunedì 4 marzo 2024

La sede del Parlamento svizzero a Berna

In Svizzera i pensionati avranno presto diritto alla 13esima mensilità. Lo hanno deciso gli elettori che al referendum di domenica 3 marzo, con il 58% di sì, hanno votato a favore della proposta di una retribuzione aggiuntiva. La consultazione proponeva un altro quesito relativo all’aumento dell’età pensionabile da 65 a 66 anni, che è invece stato respinto con il 75% dei voti contrari.

Pensioni più alte, insomma, ed erogate non troppo avanti con l’età: visto dall’esterno della Confederazione ci si potrebbe chiedere se un altro risultato sarebbe stato possibile. Perché opporsi, cioè, a un mese in più di pensione? E perché votare per andare in pensione più tardi? E invece in Svizzera si sta già parlando di decisione storica, di svolta epocale. Ed è interessante capire perché.

Con il sì alla retribuzione previdenziale aggiuntiva i pensionati che vivono soli vedranno il reddito massimo salire di 2.500 euro l’anno, mentre per le coppie sposate l’aumento arriverà fino a 3.800 euro. La proposta di un referendum per introdurre la 13esima nel sistema pensionistico svizzero, noto come Avs (Assicurazione per la vecchiaia e i superstiti) era stata avanzata da sindacati, sinistra e Verdi, ma non era scontato che passasse. Finora in Svizzera anche nella popolazione aveva prevalso una visione orientata al controllo dei conti previdenziali e a favore della sostenibilità del sistema. Il governo e la maggioranza del Parlamento avevano non a caso fatto appello al tradizionale “senso civico”, invitando a respingere la proposta.

La "vittoria della 13esima" dice invece che qualcosa è cambiato. A incidere è stato sicuramente l’aumento dei prezzi, che in un clima di maggiore insicurezza globale ha eroso il potere d’acquisto di tanti pensionati. Ma alcuni osservatori hanno fatto notare una trasformazione dello sguardo della società svizzera verso la spesa statale che può essere riconducibile a una fase storica in cui le maggiori ristrettezze spingono i cittadini a mettersi sullo stesso piano di altri soggetti beneficiari di aiuti pubblici, si tratti di banche (si pensi alle garanzie pubbliche per il salvataggio del Crédit Suisse), di rifugiati o di emergenze sanitarie come quella per fronteggiare il Covid.

Un altro aspetto rilevante, e che non parla solo alla società svizzera, riguarda l’aspetto generazionale. A votare a favore della 13esima, secondo i sondaggi, è stato il 78% delle persone oltre i 65 anni, cioè di fatto chi è già in pensione (e in questo ambito, ovviamente, i pensionati più poveri), il 68% dei 50-64enni, ovvero la generazione che vede vicina l’età del ritiro, e solo il 40% dei giovani con meno di 34 anni. In sostanza per l’esito del referendum è stato decisivo il voto per interesse della generazione più anziana, e che in prospettiva sarà più numerosa.

Il sistema previdenziale svizzero si fonda su tre pilastri: statale, professionale e privato (quest'ultimo non obbligatorio). Introdurre la 13esima mensilità nel primo pilastro, è stato calcolato, costerà alle casse pubbliche 4,3 miliardi di euro, ma in futuro, tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione, la spesa potrebbe salire a oltre 5 miliardi. Toccherà a governo e Parlamento dare seguito al mandato popolare.

Se l’aumento dell’assegno pensionistico può essere visto come una novità nel mondo in cui nella Confederazione elvetica si guarda alla sostenibilità del welfare, in una dialettica tra statalismo e liberalismo che oggi sembra risentire tanto del dato demografico quanto di quello sociale, la difesa della pensione di vecchiaia a 65 anni non è considerato un problema, dato che le recenti riforme avrebbero già garantito la tenuta del sistema. Il vero tema dei prossimi anni, non solo per la Svizzera, riguarda ormai il peso elettorale delle generazioni di fronte alle grandi scelte che riguardano la spesa pubblica.