Povertà. La famiglia: «I risparmi sono finiti. Andiamo avanti con l'Assegno unico»
I risparmi sono finiti e se non ci fossero i 378 euro al mese garantiti dall’assegno unico per i figli, salterebbe anche la casa. «Ci paghiamo il mutuo, finora non abbiamo perso una rata», racconta Gabriella, 43 anni, al telefono da un piccolo paese del Medio Campidano, in Sardegna. La sua è una storia di “ordinaria” povertà, di quelle che l’Istat descrive nei suoi report e che si incarnano nelle fatiche di una famiglia con due figli di 10 e 3 anni da crescere e impieghi sempre più precari.
«Tutto è cominciato 7 anni e mezzo fa. Io e mio marito eravamo dipendenti di un’azienda familiare di panificatori. Io servivo i clienti al banco, Luciano guidava il camioncino per la distribuzione dei prodotti. Ci siamo cresciuti, là dentro. Quando l’azienda è fallita, ci siamo messi subito a cercare un lavoro, ma non sapevamo fare altro che quello. E niente, non abbiamo trovato un posto per noi. Eravamo alla disperazione». Poi l’idea: visto che l’azienda doveva alla coppia molti soldi, con una parte del credito Gabriella e Luciano hanno rilevato l’attrezzatura e l’arredamento della rivendita. «Abbiamo deciso di provarci, aprendo un piccolo spaccio di alimentari. Siamo partiti bene, il Covid non ci ha danneggiato, anzi, ha dato una spinta alle consegne a domicilio. Eravamo contenti». Gabriella rimane incinta per la seconda volta, il bambino nasce nel 2020 con grande felicità della famiglia.
Ma poi è arrivato il post-Covid, con gli aumenti generalizzati che, come dice lo stesso report dell’Istat, ha mandato in tilt i conti della famiglia. «Tutto è aumentato, dai prodotti alle bollette. Pensi che in un mese estivo anziché le solite 400/500 euro al mese ci siamo trovati bollette da 1.200 euro. I guadagni non sono stati più sufficienti ad acquistare i prodotti da vendere e pagare le tasse. È stato l’inizio della fine. Abbiamo iniziato a pensare di lasciar perdere per cercare uno stipendio sicuro». Il 30 settembre 2023 il negozio ha chiuso i battenti. Gabriella ha ottenuto un contratto di sostituzione per poche settimane come cassiera in un supermercato. Luciano un lavoretto a termine fino a fine anno. «I risparmi sono finiti, per fortuna abbiamo famiglie alle spalle che in caso di necessità ci aiutano, e ai bambini non facciamo mancare nulla. Siamo una famiglia con poche esigenze, non facciamo vacanze né andiamo al ristorante. Abitiamo in un paese di campagna, in cui le verdure si raccolgono dall’orto. Di certo continuiamo a sperare, con due figli piccoli è un obbligo».
Gabriella nei giorni scorsi è approdata alla Caritas: per ora non vuole chiedere aiuti materiali, ma ha avuto bisogno di una consulenza per stendere il curriculum. La mancanza di altre competenze oltre a quella di commessa è una parte del problema.
«Una delle difficoltà più gravi che riscontriamo nella mia diocesi, quella di Ales Terralba, ma un po’ in tutta la Sardegna - interviene don Marco Statzu, direttore della Caritas diocesana e regionale, interpellato a proposito dei dati forniti dall’Istat - è la dispersione scolastica e la povertà educativa e formativa, I giovani si ritrovano privi di competenze o di titoli di studio che consentano di accedere a lavori retribuiti in modo dignitoso. Noi interveniamo non solo con l’assistenza, ma soprattutto con la formazione, per farli diventare autonomi in modo tale da non dover più chiedere aiuto. Riscontriamo un aumento delle difficoltà anche per le famiglie con figli minori, e per gli anziani soli. Le povertà sono tante. In Sardegna di più».