Lo studio. La spesa per l'assistenza sale a 157 miliardi
Cresce la spesa per l'assistenza
Nel 2022 in Italia i costi dell’assistenza hanno raggiunto i 157 miliardi di euro e, attingendo alla fiscalità generale, sono lievitati del 126% in dieci anni. Ad alimentare la corsa della spesa è anche il numero dei pensionamenti totalmente o parzialmente assistiti, che sono saliti a 6,55 milioni assorbendo il 40,61% dell’intero bacino dei beneficiari di prestazioni pensionistiche. È quanto emerge dall’ultimo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale elaborato dal Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali, sotto la guida dell’ex sottosegretario al Lavoro Alberto Brambilla, che è stato presentato ieri alla Camera dei deputati e in cui si richiama nuovamente l’attenzione sulla necessità di separare previdenza e assistenza, contenendo maggiormente quest’ultimo capitolo di spesa. Nel report si evidenzia che il sistema previdenziale sostanzialmente regge, come dimostra il miglioramento del rapporto attivi-pensionati che si è attestato a quota 1,4443 restando lontano da quella che è considerata la soglia di sicurezza (1,5). Un sistema che è destinato a tenere nell’immediato futuro «e anche tra 10-15 anni», a patto – sottolinea Brambilla – di saper compiere, in un Paese che invecchia, «scelte oculate su politiche attive del lavoro, età di pensionamento e anticipi». In quest’ultimo caso vanno ridotti i troppi canali di uscita prima dei limiti di vecchiaia. Secondo Brambilla, l’Italia deve prendere consapevolezza di essere «dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi». Un elemento sottolineato, nel suo videomessaggio, dal presidente della Camera Lorenzo Fontana: «Il progressivo crollo delle nascite è un problema sempre più grave per le inevitabili conseguenze sul piano sociale ed economico. Anch’esso merita un’ampia riflessione per approfondirne le ragioni e individuare i possibili rimedi». Il presidente di Itinerari previdenziali, da parte sua, auspica che «le forze politiche possano trovare un “patto di non belligeranza” a favore di una revisione del sistema equa, duratura e che tenga conto di un’aspettativa di vita sempre più elevata». Un patto che punti a innalzare gradualmente l’età di pensionamento e a intervenire sui troppi canali di pensionamento anticipato. In particolare, per Brambilla vanno «limitate le numerose forme di anticipazione a pochi, ma efficaci strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà, riportando però l’anticipo a un massimo di cinque anni», va «bloccata l’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 e dieci mesi per le donne, con riduzioni per donne madri e precoci – così come previsto dalla riforma Dini – e superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino ai 71 anni di età» e vanno «equiparate le (poco eque) regole di pensionamento dei cosiddetti contributivi puri a quelle degli altri lavoratori». Il rapporto rileva anche una risalita del numero dei pensionati: i percettori di assegno pensionistico sono 16.131.414 nel 2022, a fronte dei 16.098.748 nel 2021 e dei 16.004.503 del 2018, anno in cui si era toccato il valore più basso di sempre. Un incremento ascrivibile, nonostante le pur numerose cancellazioni di prestazioni in pagamento da 35 anni e più, alle molteplici vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate negli ultimi anni con l’approvazione dapprima di Quota 100 nel 2019 e, quindi a seguire, di Quota 102. Secondo Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro della Camera, «si deve rispondere a domande di particolare importanza sulla flessibilità in uscita da parte di diverse categorie cosiddette usuranti. Bisogna inoltre incrementare la previdenza complementare».