CONTI PUBBLICI. Moody's declassa l'Italia Napolitano: ora coesione
Le prime indiscrezioni erano iniziate a circolare attorno alle otto di sera. Un paio d’ore dopo è giunto da New York l’annuncio che rappresenta un altro duro colpo per la già precaria salute dei nostri conti pubblici: anche Moody’s, una delle tre maggiori agenzie mondiali di rating, ha deciso di declassare il giudizio sull’affidabilità delle emissioni di titoli pubblici da parte dell’Italia, portandolo ad "A2" e rivedendo contemporaneamente in "negativo" l’outlook, ossia le prospettive sul debito italiano. Una decisione grave perché è in pratica una bocciatura tripla (prima stavamo ad "Aa2") e che ci pone ora sotto stati come Estonia e Slovacchia. Il rischio di un default italiano «è remoto», ma l’Italia è «più vulnerabile», afferma l’agenzia. La procedura era stata avviata già il 17 giugno scorso ed era stata prevista (ma fu poi rimandata) per metà settembre quando, un po’ a sorpresa, era stata invece un’altra agenzia, Standard and Poor’s, a "bocciarci" (in quel caso da A+ ad A). Dietro Moody’s, la seconda "grande sorella" del rating, c’è Warren Buffett, il grande finanziere americano. Ora, a valutarci meglio resta la sola Fitch, che ci colloca ancora ad "AA-", con previsione "stabile".
In ogni caso, si tratta di un micidiale uno-due che rischia di tradursi in una nuova ondata di sfiducia sui mercati verso l’Italia, accrescendo così a dismisura le difficoltà in cui si dibatte la politica italiana. Tanto più che anche Moody’s, come già aveva fatto (anzi, con più forza) S&P, ha sottolineato che il downgrade è dovuto «in parte ai rischi derivanti dalle incertezze economiche e politiche» (oltre che al generale «ribasso» della crescita e alla minor fiducia nelle emissioni di tutta la zona euro). La presidenza del Consiglio ha replicato subito, parlando di «scelta attesa» e ribadendo che il governo «sta lavorando» per «raggiungere gli obiettivi accolti positivamente dalla Commissione Ue». Tutt’altra la lettura del leader del Pd: secondo Pier Luigi Bersani «è una mazzata, ma se non c’è un cambiamento la sfiducia rischia di tirarci a fondo».La decisione ha alzato ulteriormente il livello di allarme in un’Europa già in forte ansia ieri per Dexia, che rischia di essere la prima vittima della crisi del debito. Già salvata nel 2008 attraverso un intervento d’emergenza dei governi di Francia, Belgio e Lussemburgo (per 6,4 miliardi) da settimane la banca franco-belga specializzata nei prestiti agli enti locali non riesce più a ottenere fondi dagli altri istituti di credito perché la sua esposizione sui titoli di Stato europei fa paura. Dexia capitalizza infatti 2,5 miliardi di euro ma ha 3,46 miliardi di obbligazioni greche, oltre ad altri titoli "periferici" per 20,9 miliardi. L’istituto non resisterebbe a una bancarotta greca, ma nemmeno potrebbe partecipare a una ristrutturazione del debito ellenico che le imponesse un rimborso parziale (ad esempio al 50%) dei prestiti concessi ad Atene. Per questo le cattive notizie che continuano ad arrivare dai vertici europei sulla Grecia non fanno che aumentare l’allarme sulla sua condizione. Nella notte di lunedì i ministri delle Finanze di Francia e Belgio, che in forme diverse detengono il 35% delle azioni di Dexia per effetto del salvataggio del 2008, hanno studiato le possibili soluzioni per la banca, comprese la creazione di una "bad bank" su cui scaricare 95 miliardi di titoli rischiosi. Il ministro belga Didier Reynders ha assicurato che Parigi e Bruxelles si impegnano a «garantire i finanziamenti raccolti da Dexia». In Borsa il titolo della banca ha perso ieri il 20,8%, dopo il -10% di lunedì.
Con la vicenda Dexia si affaccia il rischio concreto del fallimento di banche che hanno fatto affidamento sui titoli di Stato del Vecchio continente. Il sistema bancario europeo è «troppo fragile», ha ammesso il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, aggiungendo che «i governi devono capire che siamo l’epicentro della crisi globale». Le banche sono tornate a guardarsi reciprocamente con sospetto. Così non si prestano più i soldi sul mercato interbancario, preferendo parcheggiarli nelle più sicure e meno redditizie casse della Bce, e con conseguenti problemi di rifinanziamento (o di funding). Pure Deutsche Bank ha lanciato un allarme sull’utile: i 10 miliardi di euro fissati per il 2011 «non saranno raggiungibili». Nel panico dei mercati, le Borse europee hanno bruciato 161 miliardi, spinte al ribasso, ovviamente, dai titoli delle banche. Francoforte ha perso il 3%, Milano il 2,7% (bruciati 8,1 miliardi), Parigi e Londra il 2,6%.NAPOLITANO: SERVONO RIGORE E COESIONELa crisi che investe l'eurozona «richiede rigore e disciplina nel governo delle economie europee, ma richiede anche solidarietà, coesione, attenta e coordinata governance di tutta la comunità internazionale». Lo dice Giorgio Napolitano in un messaggio per l'apertura della Conferenza Italia-America Latina e Caraibi.