Cina. La rivolta nella fabbrica degli iPhone è finita (per ora)
La polizia cinese in tenuta anti-Covid contrasta la rivolta degli operai di Foxconn
La rivolta all’interno della fabbrica cinese degli iPhone dovrebbe essere terminata. Secondo diverse fonti, Foxconn ha offerto agli operai dello stabilimento di Zhengzhou che protestavano per il mancato rispetto del contratto una buonuscita da 10mila renminbi (circa 1.350 euro): 8mila renminbi per dimettersi e altri 2mila per salire a bordo dei bus che li porteranno verso casa. Secondo un lavoratore citato dal Financial Times questa proposta è stata considerata accettabile da molti operai.
Non si sa quanti siano i lavoratori di Foxconn che lasceranno l’azienda con questa buonuscita. Da tempo la fabbrica di Zhengzhou – che produce circa il 70% degli iPhone per conto di Apple – è in difficoltà nel tenere il ritmo necessario a garantire la produzione (Apple ha previsto di vendere 240 milioni di telefoni nel 2023).
Operai di Foxconn si curano le ferite subite dagli scontri con la polizia - Reuters
Un "errore tecnico" nel fare le assunzioni
La fabbrica fino a ottobre aveva 200mila operai, già diminuiti dopo che un’epidemia di coronavirus all’interno dello stabilimento aveva provocato la fuga di migliaia di lavoratori. Foxconn ha deciso di isolare la fabbrica: i dipendenti devono sottoporsi alla quarantena, fare un test Covid e quindi, se negativi, vivono per settimane all’interno del centro di produzione. A protestare, anche con violenti scontri con la polizia, sono stati soprattutto i nuovi assunti, migliaia di persone che si sono viste promettere bonus poi mai arrivati.
Nel frattempo la stessa città di Zhengzhou, che è il capoluogo della provincia dell'Henan, ha ordinato il lockdown in diversi distretti per riportare sotto controllo i focolai di Covid-19. Le autorità parlano di 700 nuovi contagi in un giorno. Più in generale la Cina, che si è affidata a un suo vaccino anti-Covid, sta vivendo una nuova ondata di contagi a cui continua a rispondere con rigide restrizioni nella politica Covid-zero voluta da Xi Jinping.
Foxconn si è scusata con i lavoratori e ha parlato di un «errore tecnico» nel fare le nuove assunzioni. Apple per ora si rifiuta di commentare. Per il gruppo americano, primo al mondo per capitalizzazione di mercato (vale 2.400 miliardi di dollari) la protesta all’interno di Foxconn è un grosso problema di business e di immagine.
Tim Cook, ceo di Apple, al negozio Apple di New York saluta dipendenti e clienti nel primo giorno di vendite dell'iPhone 14, lo scorso 16 settembre - Apple
Problemi di immagine, e di business, per Apple
Il 6 novembre l’azienda aveva comunicato che i problemi alla fabbrica di Zhengzhou avevano avuto «un impatto» sulla produzione degli iPhone e quindi il numero di telefono prodotti sarebbe stato inferiore al previsto mentre i tempi di consegna erano destinati ad allungarsi. Nel frattempo Apple ha spostato in altri stabilimenti parte della produzione di iPhone, che avviene per il 95% in Cina. A fine settembre, l’azienda ha anche annunciato l’avvio dell’assemblaggio di iPhone 14 in India, a Sriperumbudur, vicino a Chennai, sempre in uno stabilimento di Foxconn.
Le immagini di operai per la produzione di iPhone insanguinati e di poliziotti in tenuta anti-Covid che bastonano chi fa resistenza si abbinano male a un telefono che vuole essere cool e che parte da un prezzo superiore ai mille euro. «Stiamo lavorando a stretto contatto con il nostro fornitore per riportare la produzione a livelli normali e assicurare la salute e la sicurezza di ogni lavoratore» scriveva Apple in quella nota del 6 novembre. Parole poco compatibili con la realtà che sta emergendo in queste ore e con l’impegno a «rendere il mondo migliore di come l’abbiamo trovato» ribadito dal ceo Tim Cook presentando i risultati dell’ultimo bilancio, chiuso con un fatturato di 316 miliardi di dollari e un utile netto di 99,8 miliardi.