L’economista Stefano Zamagni spiega di essersi interrogato sui motivi dei “mal di pancia” provocati dall’autoriforma del sistema del credito cooperativo. «E sono arrivato alla conclusione — dice — che buona parte dei dissidi e delle polemiche sono dovute al fraintendimento dei contenuti e del senso di un’autoriforma che, conviene ricordarlo, non è un’iniziativa spontanea ma un atto dovuto. Nel senso che il decreto governativo sulle popolari del gennaio scorso ha lasciato fuori le Banche di credito cooperativo, ma ad una condizione: che si riformassero per adeguarsi alla direttiva europea dell’anno scorso su crisi bancarie e vigilanza unica».
Partiamo dal senso di questa riforma, allora. Il testo preparato e ora allo studio del governo ha tre obiettivi: il primo è il miglioramento della governance del sistema grazie ai patti di coesione; il secondo obiettivo è rendere più efficiente l’allocazione delle risorse disponibili all’interno del sistema; il terzo è l’apertura, a precise condizioni, ai capitali esterni. L’attuazione di questi obiettivi ha creato, com’è normale, una serie di obiezioni e contestazioni all’interno del mondo del credito cooperativo. Io penso che siano contestazioni figlie dell’incapacità di comprendere alcuni aspetti di questo mondo.
A che cosa si riferisce? Ad esempio all’aspetto della differenza fra autonomia e indipendenza della singola Bcc. Le banche del credito cooperativo sono autonome all’interno di un sistema nel senso che possono scegliere in che modo fare funzionare la banca, ma non sono indipendenti, cioè non possono pretendere di prescindere dalle regole dell’intero sistema. È come se una Regione italiana dicesse che in virtù della sua autonomia non si sente vincolata alle leggi nazionali…
Su quali altri aspetti vede delle incomprensioni? Almeno su altri due: il rapporto tra consigli di amministrazione e direzioni e la clausola di gradimento. Il primo è particolarmente problematico: nell’ultimo decennio per diverse ragioni in alcune Bcc il potere dei manager è diventato troppo ampio rispetto a quello dei consiglieri di amministrazione. Ma questo è uno stravolgimento del principio democratico alla base del credito cooperativo: il consiglio è espressione della volontà dei soci, mentre i dirigenti sono al servizio dei soci. Se lasciamo alle direzioni il potere di fissare il modello di business, il principio cooperativo è stravolto.
Qual è il problema della clausola di gradimento? Penso che sia un punto importante della riforma: vale il principio della porta aperta per nuovi ingressi nella compagine societaria, ma sotto condizione di gradimento. È una clausola che serve a tutelare la cooperativa dall’ingresso di opportunisti. Le Bcc che hanno avuto dei problemi quasi sempre li hanno avuti perché hanno lasciato entrare persone che non credevano nella natura cooperativa della banca, gente che inseguiva i suoi obiettivi rovinando il clima aziendale. La clausola serve a evitare l’ingresso di questi lupi travestiti da agnelli.
La riforma concede più autonomia alle Bcc che mostrano una sana e prudente gestione. Anche su questo principio ci sono contestazioni… È un concetto giustissimo, richiama il principio responsabilità di Hans Jonas: se una Bcc è meritoria allora i controlli che il gruppo eserciterà su di essere diminuiranno. Significa che la libertà ha un prezzo, se voglio avere meno controlli e meno interferenze allora ho una via molto semplice da seguire: gestire la banca in maniera coerente con i principi del credito cooperativo e finanziariamente sostenibile. C’è stato chi amministrava la banca in maniera spregiudicata contando sul salvagende del fondo di garanzia, ma questo non è possibile.
L’ingresso di capitali esterni può comportare dei rischi? Sì, ma solo in teoria. L’autoriforma deve contenere il vincolo che impedisca ai capitali esterni di diventare maggioranza e stravolgere l’identità cooperativa. Il voto capitario, per capirci, non può essere messo in discussione. Se ciò non avvenisse saremmo di fronte a uno stravolgimento delle regole del sistema.
Le sembra che l’autoriforma garantisca la sopravvivenza dell’identità del credito cooperativo? Sì, mi sembra di sì. Le Bcc devono continuare a vivere a lungo perché abbiamo bisogno della biodiversità anche nel sistema finanzario, non solo in quello naturale. Bisogna evitare di arrivare a una situazione in cui il mercato finanziario è dominato da alcune grosse centrali di potere che non servono a nessuno, se non a loro stesse.