Economia

Analisi. La rete fra la Lega e Putin dietro l'Italia «giallo-verde»

Eugenio Fatigante giovedì 31 maggio 2018

Molto si è detto e scritto, in questi giorni, sul no di Mattarella a Savona come ministro dell’Economia di un eventuale governo Lega-M5s per le sue tesi fortemente euroscettiche. Ma ad agitare ancor più i pensieri delle cancellerie di tutta Europa (e anche del Quirinale) è un altro scenario, noto da tempo eppure stranamente rimasto sotto traccia nel dibattito nazionale: il legame di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito nato nel 2001 per sostenere Vladimir Putin.

L’ultimo allarme l’ha lanciato, domenica scorsa, Armin Schuster, il presidente (della Cdu) della commissione Servizi del Bundestag, il Parlamento tedesco: un governo giallo-verde non sarebbe motivo di «interrompere» la cooperazione nell’intelligencecon Roma, ma nelle vicende che coinvolgono Mosca i contatti potrebbero essere condotti «diversamente» da come avviene ora. Alla base di questa 'relazione pericolosa' c’è persino un testo ufficiale, una sorta di altro contratto (come quello siglato con i pentastellati): un «Accordo sulla cooperazione e collaborazione» fra i due partiti. Il testo, in 10 punti, è riportato dal libro 'Da Pontida a Mosca', scritto da Fabio Sapettini e Andrea Tabacchini.

Era poco più di un anno fa: ai primi di marzo del 2017, Salvini era nella capitale russa. Da una parte del tavolo c’era lui, dall’altra Sergey Zheleznyak, 48enne vicesegretario per le relazioni internazionali del partito putiniano, per firmare questo documento: un impegno a promuovere le relazioni fra le due parti, con seminari, convegni, viaggi, basato su un «partenariato paritario e confidenziale», termine, quest’ultimo, quanto mai singolare per la diplomazia internazionale.

Uno scambio quanto mai ampio, che comprende anche le «esperienze in attività legislative». Una rete fitta che ha anche alimentato il sospetto, sempre seccamente smentito da Salvini, di finanziamenti diretti di Putin alla Lega, partito peraltro in difficoltà economica. Qual è, allora, lo scopo di questa alleanza? Interessante è l’opinione di Nona Mikhelidze, analista dello Iai (Istituto affari internazionali), riportata lo scorso gennaio dal sito Formiche: «Il Cremlino sa che l’Italia non può uscire da un giorno all’altro dall’Ue. L’obiettivo per il momento è creare caos, ingovernabilità, aiutare quelle forze sovraniste che, per costituzione, chiedono meno Europa».

Guarda caso, esattamente lo scenario che si sta realizzando in queste settimane in Italia. In effetti, la drammatizzata ipotesi di uscita dall’euro sarebbe comunque un processo complesso da portare avanti. Molto più agevole 'creare' disordine. Come il primo tempo di una partita. Mettere in crisi la moneta unica resta infatti la via migliore per indebolire l’Europa. Per minarla dalle fondamenta. Un interesse prioritario per la Russia, penalizzata dalle sanzioni Ue in vigore da marzo 2014 e per ora prorogate fino a fine luglio.

Senza un Paese 'forte' come l’Italia, le sanzioni non potrebbero essere rinnovate (sono votate all’unanimità). Non a caso il «ritiro immediato delle sanzioni» è previsto nello scarno capitolo 'Esteri' del contratto gialloverde. In questo filone, la figura di Paolo Savona, economista d’esperienza e stimato (anche e proprio per la sua linea sull’Unione Europea), non è casuale, ma può acquisire un ruolo funzionale nello scacchiere predisposto da Salvini. D’altronde Savona non è noto solo per i suoi riferimenti storici al nazismo dei tedeschi (non graditi sul Colle). Sulla Russia, in un’intervista a Libero, ecco cosa diceva: «Putin è realista. È contrario a un’Europa che lo danneggi. E questa lo danneggia».

Anche l’ex ministro del governo Ciampi ha legami storici col mondo russo, coltivati durante la presidenza di Impregilo negli anni Duemila. Ecco che dietro l’opposizione alla figura di Savona – e all’esecutivo leghista-grillino – si può leggere in filigrana la volontà di contrastare un disegno geopolitico orientato a mutare gli equilibri in Europa. Il tramite dell’infatuazione filo-russa del Carroccio è il giornalista Gianluca Savoini, già collaboratore di Salvini e presidente dell’associazione 'Lombardia Russia'. Prende le mosse nel 2013: da allora, ogni passo politico del Matteo in camicia verde ha ricevuto una qualche 'benedizione' russa.

Quando, a dicembre 2013, è eletto segretario nel congresso di Torino fra i presenti c’è Viktor Zubarev, parlamentare russo. Da lì cominciano i contatti diretti fra Salvini e Putin. Il 17 ottobre 2014 il leader russo è a Milano per il vertice Asem e, a costo di far aspettare l’amico Berlusconi, incontra per 20 minuti in un hotel il capo lumbard: «Certo, bere un caffè con Putin...», commenta un emozionato Salvini. Segue una lunga serie di 'pellegrinaggi' a Mosca. Una ragnatela di contatti. Una settimana fa Savoini era a San Pietroburgo, al forum internazionale, assieme a Paolo Grimoldi, altro deputato leghista che funge da trait-d’union sull’asse Milano-Mosca. Non coinvolto in questa rete, ma molto attivo è poi Luigi Scordamaglia, dinamico presidente di Federalimentare e sorta di 'ufficiale di collegamento' fra il mondo imprenditoriale del Nord e la Lega per la sua attenzione al tema sanzioni, che penalizzano soprattutto l’agroalimentare.

I timori non sono legati solo agli assetti economici, però. Molto forti sono anche quelli per le 'bufale' mediatiche che influenzano le elezioni e i sommovimenti occidentali. Nei 'Palazzi' della politica si ricorda a esempio che, secondo inchieste giornalistiche, l’80% dei tweet a favore dell’indipendenza della Catalogna sono arrivati da account russi o venezuelani. E c’è chi ricorda che, in ogni caso, il nostro 'ancoraggio' agli Stati Uniti deve prevalere. Per una ragione semplice: l’interscambio commerciale fra Usa e Italia prima delle sanzioni era 10 volte più grande di quello con Mosca. Grandezze profondamente diverse che fanno riflettere davanti al rischio di uno spostamento degli equilibri.