Fisco. Se sei miliardario paghi meno tasse. Ma il G20 può dire "basta"
Un momento del G20 finanziario dello scorso febbraio, a Rio de Janeiro
L’idea di una tassa minima sui redditi o i patrimoni degli esseri umani più ricchi del mondo sta facendo i suoi piccoli passi avanti. Il Brasile ha inserito il tema nell’agenda della sua presidenza del G20, iniziata lo scorso dicembre e in chiusura a fine novembre (poi toccherà al Sudafrica), e ha ottenuto l’appoggio della Francia, altro membro di peso dell’organizzazione internazionale. I due presidenti, Luiz Inácio Lula da Silva ed Emmanuel Macron, potrebbero incaricare i loro sherpa di mediare perché la tassa sui miliardari trovi uno spazio nel comunicato del vertice dei venti Grandi a Rio de Janeiro, il 15 e 16 novembre.
La base teorica per agire è già pronta. Sta tutta nel rapporto che il giovane economista francese Gabriel Zucman, che insegna a Berkeley e a Parigi, ha pubblicato lo scorso 25 giugno proprio su mandato del governo brasiliano. Zucman, che da tempo si occupa del tema della tassazione sui grandi ricchi anche con l’appoggio di Oxfam, era stato invitato al G20 finanziario di San Paolo a febbraio per introdurre la proposta e quindi ha portato avanti il lavoro in vista del vertice dei capi di Stato in autunno. La sua proposta parte da un dato ormai noto, ma spesso dimenticato: le persone che dispongono di enormi patrimoni, i 3mila individui che hanno ricchezze personali superiori al miliardo di dollari, pagano in proporzione meno tasse sui redditi rispetto ai cittadini “normali”. Per come sono costruiti i sistemi fiscali dei Paesi esaminati – tutte le principali economie occidentali – le tasse sui redditi sono progressive per la grande maggioranza della popolazione, ma poi precipitano negli ultimissimi “percentili” dei contribuenti, quelli in cui si trovano le persone più ricche di tutte. In Italia, per esempio, il sistema fiscale secondo i calcoli di Zucman inizia a diventare regressivo per il 5% più ricco della popolazione e diventa ultra-vantaggioso per i (pochi) contribuenti miliardari.
Le strategie dei miliardari per risparmiare sulle tasse
Questo accade perché i ricchi hanno diverse possibilità, tutte lecite, per ridurre il proprio carico fiscale. Si parte da una situazione diversa da quella dei lavoratori dipendenti, ovviamente, perché i redditi dei miliardari non derivano da “stipendi”, ma dalle ricchezze che controllano, più precisamente dalle quote e dalle azioni delle imprese che controllano. Per trasformare in reddito personale queste ricchezze, dovrebbero fare distribuire dividendi alle imprese e quindi pagare le tasse sui profitti finanziari (in Italia è al 26%). Ma hanno soluzioni più convenienti per schivare gli occhi del fisco.
Una di queste è usare titoli e azioni come garanzia per farsi prestare denaro dalle banche e quindi utilizzare questi prestiti per comprare beni e servizi o anche fare investimenti. In questo modo possono ottenere denaro esentasse il cui unico costo è l’interesse da pagare alla banca. Un’altra possibilità comune in molti Paesi, nota Zucman, è creare delle società finanziarie o altre strutture legali del genere, fare incassare a questa holding i dividendi delle aziende controllate e quindi usare l’incasso per spese personali di vario tipo, come l’acquisto di proprietà immobiliari o di viaggi di lusso. Esistono anche altri sistemi di “strategia fiscale”.
Negli Stati Uniti, scriveva qualche giorno fa il Financial Times, sono sempre più popolari gli Sma, sigla che sta per “separately managed accounts”, cioè “conti gestiti separatamente”. Sono soluzioni di investimento personalizzate che permettono a grandi investitori (di solito non si entra con cifre sotto il milione) di ottenere perdite finanziarie utili a bilanciare i profitti, così da ridurre il carico fiscale sui guadagni ottenuti in Borsa: perdere denaro sul mercato è più convenienti che versarlo allo Stato sotto forma di tasse.
L'aliquota fiscale effettiva per percentile dei contribuenti: raggiunta una certa soglia, la tassazione crolla - Gabriel Zucman
Le proposte di Zucman
Zucman propone al G20 di fissare al 2% del patrimonio la quantità minima di tassa sui redditi che i circa 3mila miliardari del pianeta devono versare al fisco ogni anno. Non sarebbe quindi una tassa aggiuntiva: chi già paga imposte per una cifra pari al 2% del suo patrimonio non dovrebbe sborsare un euro o un dollaro in più. «Tecnicamente, l’imposta minima qui proposta è quella nota come imposta presunta sul reddito – spiega l’economista –. L’idea è che per un miliardario che dichiara un reddito imponibile basso, e di conseguenza paga poche tasse sul reddito, si deve presumere che abbia un reddito che il sistema fiscale non riesce a catturare».
Considerato che in media dal 1987 al 2024 la ricchezza degli individui più ricchi del mondo è aumentata del 7,1% all’anno, al netto dell’inflazione, questa imposta non dovrebbe creare grandi problemi di liquidità agli ultra ricchi. Il gettito fiscale stimato, calcola Zucman, sarebbe tra i 200 e i 250 miliardi di dollari all’anno. Allargare questa tassazione minima anche a chi ha patrimoni inferiori al miliardo ma superiori ai 100 milioni di dollari porterebbe tra i 105 e i 135 miliardi di dollari aggiuntivi.
Cifre rilevanti ora a disposizione dei capi di Stato del G20. Le questioni da risolvere sono ancora numerose: non è chiaro come valutare la ricchezza dei milionari, occorre un larghissimo consenso tra i governi e ogni nazione dovrebbe trovare soluzioni complicate per inserire questo principio nel suo sistrma fiscale. Sono poche speranze che questo tipo di soluzione trovi una rapida applicazione, però se il tema entra nell’agenda dei vertici del G20 un po’ alla volta può trovare applicazioni concrete. La collaborazione tra i governi è essenziale: con le risorse chye hanno a disposizione, gli ultraricchi possono permettersi di investire massicce somme di denaro per trovare soluzioni di risparmio fiscale anche muovendo i soldi da un Paese all’altro. È evidente che senza un accordo globale, che preveda anche una stretta sui paradisi fiscali che continuano a operare più o meno indisturbati, non c’è soluzione che possa funzionare. La possibilità di agire, però, ora c’è. «Grazie ai recenti progressi nella cooperazione fiscale internazionale – scrive Zucman nelle sue conclusioni – uno standard comune nella tassazione dei miliardari è diventato tecnicamente possibile. Applicarlo è una questione di volontà politica».