Il test. Ecco la Panda che va ad acqua sporca
La Fiat Panda che viaggerà per 80 mila km con il biometano prodotto dai reflui fognari
Ci provano, e ci riusciranno di certo. Con la Panda, l’auto più facile e tranquillizzante che esista. Solo che questa userà ciò che c’è nella fogna come benzina. Non è uno scherzo: l’ha realizzata Fiat-Chrysler e sarà protagonista di una sperimentazione lunga alcuni mesi. Del resto fare il pieno alla propria auto utilizzando solo i rifiuti come combustibile, attraverso la trasformazione di acque reflue, scarti agricoli, letame o le deiezioni animali, da tempo non è solo un’utopia da ecologista incallito. Tecnicamente funziona, ma la legge ancora non lo consente. In Italia infatti mancano ancora normativa e decreti attuativi affinchè sia possibile mettere in rete il biometano ricavato da questi materiali e venderlo come carburante per autotrazione.
È invece un fatto che il biometano (gas derivato dal biogas dopo un processo di raffinazione e purificazione) in termini ambientali possa fare molto meglio anche del metano chè già assicura una riduzione del 23% sulle emissioni di CO2 rispetto alla benzina. Con il biometano le emissioni di CO2 totali (in termini Well To Wheel) sarebbero abbattute fino al 97% e le vetture che utilizzano il biometano diventerebbero paragonabili alle vetture elettriche che utilizzano energia derivata da fonti rinnovabili.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica su un ritardo strutturale che penalizza il nostro Paese, alla disperata ricerca di nuove soluzioni per rendere la mobilità su ruote meno inquinante ma alle prese con una burocrazia che sembra remare in senso contrario, la Panda percorrerà 80 mila chilometri alimentata con il biometano prodotto dal gruppo Cap, gestore del Servizio Idrico Integrato della Città Metropolitana di Milano. I tecnici del Centro Ricerche di Fca affettueranno un monitoraggio costante per valutare gli effetti del biometano sul motore con questo tipo di alte percorrenze. La Panda - dal 2007 l’auto a gas naturale più venduta in Europa, con oltre 300 mila esemplari prodotti - farà il pieno presso il depuratore di Gruppo Cap a Bresso-Niguarda (Milano), dove sta per nascere il primo distributore italiano di biometano a km zero, con combustibile prodotto dalle acque di scarto della città.
Non è ancora possibile invece sapere quando arriverà il momento in cui sarà possibile fare il pieno con metano di origine agricola - e quindi totalmente rinnovabile - anziché con quello estrattivo. Lo ribadisce uno studio realizzato dalla Federmetano che fa il punto sull’applicazione di questa fonte energetica anche nell’ambito dei trasporti. «È dalla pubblicazione del decreto interministeriale del 5 dicembre 2013 - sottolinea Stefano Franciosi, responsabile del reparto carri bombolai e vicepresidente di Federmetano - che aspettiamo che il decreto sul biometano trovi applicazione e possa dare finalmente l’avvio all’intera filiera, che conta un potenziale stimato pari a 1,5 miliardi di fatturato e circa 4.000 addetti. Il settore è però fermo da 3 anni».
L’uso di biometano come carburante, che già avviene in altri Paesi – sostiene Federmetano – oltre all’abbattimento della CO2 emessa, permetterebbe rilancio e sviluppo per il settore agricolo coinvolto, riduzione della dipendenza energetica dall’estero e forti investimenti per la progettazione e realizzazione di impianti. «In Italia - continua Franciosi - il mercato del biometano è maturo e disponibile: siamo il Paese con il maggiore parco macchine d’Europa, circa 1 milione di veicoli circolanti a metano, dotato di una rete infrastrutturale presente su tutto il territorio. La filiera è pronta, ma è necessario che i decisori politici diano l’input necessario affinché sia possibile che questa fonte totalmente rinnovabile, abbia il suo sviluppo come declinazione per l’autotrazione e diventi un vero e proprio vettore energetico e di trasporto a emissioni zero».