Economia

Sviluppo felice. La fuga dalle fonti fossili supera i 5mila miliardi

Andrea Di Turi sabato 31 dicembre 2016

È stato lo stesso Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, a congratularsi del fatto che un numero crescente di investitori nel mondo stanno sostenendo l’abbandono delle fonti di energia a più alta intenistà di carbonio (carbone, petrolio, gas) e accelerando sugli investimenti nelle rinnovabili: «Gli investimenti in energia pulita – ha dichiarato – sono la cosa giusta e anche quella più intelligente da fare per creare prosperità proteggendo il pianeta». Il de profundis per le energie fossili non è stato ancora intonato, ma i dati su cui si è espresso Ban Ki-moon dicono che la direzione presa è irreversibile.

A renderli noti, la campagna per il disinvestimento dalle fonti fossili di energia ( fossil fuel divestment) e il reinvestimento in fonti rinnovabili, che chiede appunto ai grandi investitori di spostare risorse da un settore all’altro nella prospettiva della lotta ai cambiamenti climatici. A partire dalla considerazione, basata sui dati scientifici, che il pianeta non può più permettersi di continuare a bruciare o a estrarre fonti di energia ad alto contenuto di CO2, come si è sempre fatto dalla rivoluzione industriale in poi, se si vuole davvero contenere l’innalzamento delle temperature medie terrestri – vedi gli accordi di Parigi – e scongiurare cambiamenti climatici ancor più devastanti di quelli in atto. La campagna, nata anni fa nei campus universitari Usa, già a settembre 2015 aveva visto l’adesione di investitori istituzionali per complessivi 2,6 trilioni di dollari di asset in gestione (2.600 miliardi di dollari). Ripetendo l’indagine dopo 15 mesi, i consulenti di Arabella Advisors hanno rilevato che gli asset degli investitori coinvolti sono raddoppiati, a 5.200 miliardi di dollari.

La strategia del disinvestimento, dunque, è entrata nel mainstream finanziario, cioè rappresenta una delle modalità tipiche per affrontare l’emergenza climatica da parte di investitori sensibili ai temi della sostenibilità. Che affonda le sue radici, però, non solo in motivi etici ma anche in considerazioni su rischio, rendimento e sul “dovere fiduciario” dei gestori nei confronti di chi affida loro i propri investimenti. Aderiscono al divestment 700 organizzazioni e istituzioni nel mondo, da 80 Paesi, e 60mila investitori privati. Sempre più si contano fondi pensione, assicurazioni e istituzioni bancarie, ma continuano ad essere molto presenti i gruppi che hanno sposato per primi le istanze del movimento, come università, fondazioni e organizzazioni di ispirazione religiosa. Anche cattoliche. Al riguardo un appuntamento fondamentale sarà la conferenza del 27 gennaio alla Pontificia Università Lateranense, dal titolo “Laudato si’ e investimenti cattolici: energia pulita per la nostra casa comune”. Fra gli organizzatori, il Movimento cattolico mondiale per il clima e la Focsiv, che aderisce alla campagna Divest Italy.