Lavoro. La flessibilità in Germania adesso la decide il lavoratore
Flessibilità a richiesta del lavoratore e giorni di permesso aggiuntivi per motivi familiari. Una riduzione dell’orario settimanale da 35 a 28 ore per due anni su base volontaria per poter meglio bilanciare lavoro e impegni di cura o anche solo avere maggiore tempo libero. Segna una duplice svolta l’intesa-pilota firmata l’altra notte in Germania dal sindacato dei metalmeccanici IG-Metall e dalla federazione degli industriali Südwestmetall a Stoccarda, la prima dopo una serie di scioperi che hanno bloccato le fabbriche tedesche e che hanno provocato anche le rimostranze di una parte degli industriali, arrivati a denunciare la potente federazione delle tute blu per le sospensioni del lavoro. Ora è probabile che, una volta "rotto" il fronte di resistenza degli imprenditori, si arrivi presto al rinnovo del contratto per tutti i 3,9 milioni di lavoratori metalmeccanici assunti in Germania.
«L’accordo pilota prevede un incremento delle retribuzioni del 4,3% a partire da aprile, il pagamento di un’una tantum da 100 euro per il periodo gennaio-marzo 2018 e un importo fisso di 400 euro a luglio 2019», ha annunciato il negoziatore del sindacato, Roman Zitzelsberger. Ad essere coinvolti sono circa 900.000 lavoratori in una delle zone a maggiore concentrazione industriale della Germania, il Baden-Württemberg, dove hanno sede, tra molte altre aziende, grandi gruppi come le case automobilistiche Daimler e Porsche. Ma, al di là dell’aspetto monetario, l’accordo prevede, come detto, il diritto per ogni lavoratore di chiedere e ottenere una riduzione dell’orario di lavoro fino a 28 ore settimanali, per un periodo da 6 a 24 mesi. Non sarà a parità di stipendio, come il sindacato avrebbe voluto, ma i dipendenti con carichi familiari potranno usufruire – al posto del supplemento salariale previsto dal 2019 – di otto giorni di permesso aggiuntivi, di cui 2 pagati dal datore di lavoro. Per contro, le imprese hanno ottenuto la possibilità di estendere la settimana lavorativa da 35 a 40 ore, quando dovesse rendersi necessario per esigenze di produzione, sempre però su base volontaria.
«Complessivamente l’aumento dei salari sarebbe di circa il 3,5% su base annua, contro le nostre richieste del 6% – ha detto ancora Zitzelsberger – ma sono stati ottenuti vantaggi per le famiglie con figli, tutele sanitarie e altri benefit come quelli indicati sugli orari di lavoro». Soddisfatti anche gli imprenditori che con Stefan Wolf, leader dell’associazione imprenditoriale Südwestmetall parlano di «giusto equilibrio tra le richieste di IG Metall e le offerte da noi presentate». Il risultato, oltre che della forza di IG Metall, che copre da sola il 45% dei lavoratori tedeschi, è la conseguenza della favorevole congiuntura economica che la Germania sta vivendo, con la perdurante crescita economica alla quale corrisponde un tasso di disoccupazione al 5,4% ai livelli più bassi dalla riunificazione del 1990. «Per troppo tempo la flessibilità dell’orario di lavoro è stato un privilegio nelle sole mani delle imprese – ha commentato Jörg Hofmann, leader dell’Ig Metall –. D’ora in poi i lavoratori avranno il diritto di scegliere di ridurre il proprio orario settimanale di lavoro per se stessi, per la loro salute, per le loro famiglie. Questo accordo è una pietra miliare sul sentiero che conduce alla costruzione di un moderno e autodeterminato mondo del lavoro».
Questo contratto dei metalmeccanici tedeschi segna, infatti, un cambio di paradigma sotto diversi aspetti. Anzitutto, pur riconoscendo altri spazi di manovra alle imprese, consegna per la prima volta nelle mani del dipendente un diritto alla flessibilità, a decidere se ridurre del 20% il proprio tempo di lavoro. Il periodo è limitato a 2 anni, oltre il quale si ritorna all’orario classico, ma la scelta può essere ripetuta più volte nel corso della propria carriera. Una scelta libera, non condizionata da stati di bisogno o certificazioni particolari. La riduzione dell’orario, infatti, potrà avvenire – e sarà la maggioranza dei casi – per poter meglio bilanciare cura familiare e tempo di lavoro, per occuparsi di bambini piccoli e di anziani non più autosufficienti. Attività alle quali sarà legata la possibilità di convertire l’aumento salariale di 400 euro, previsto dal 2019, in 8 giorni di permesso in più, di cui 2 retribuiti dall’azienda. La cura familiare viene così valorizzata all’interno di un contratto di lavoro – in particolare quello dei metalmeccanici tedeschi che fa da modello e riferimento per molti sindacati europei – come una componente essenziale della tutela del lavoratore, del suo ben-essere complessivo.
Ma non c’è solo la famiglia nell’inedito contratto tedesco. Perché la riduzione dell’orario potrà essere più semplicemente la scelta di rallentare il proprio impegno, di avere maggior tempo a disposizione per sé o da dedicare alla propria comunità, per fare volontariato o coltivare un hobby particolare. In una parola, per riappropriarsi di una parte della propria vita, oggi passata in azienda a lavorare e che un domani potrà essere dedicata ad altro. Una possibilità di autodeterminazione che potrà compiere anche un single, senza carichi familiari. Un diritto in più, quello al proprio tempo, a bilanciare il lavoro retribuito con altre dimensioni della propria vita, che torna pienamente in capo alla persona. Il lavoratore che finalmente è padrone almeno di un pezzo di flessibilità e può, pur da dipendente, autodeterminare una parte del proprio impegno.
Si tratta di una forma inedita di flessibilità dell’orario, perché la riduzione finora era stata pensata solo in chiave difensiva, con i contratti di solidarietà per salvare posti di lavoro; o espansiva – come nel caso delle 35 ore in Francia – ma calata dall’alto, spesso nell’illusione che una decisione politica e non contrattata bastasse per creare nuova occupazione. Mentre in questo caso potremmo essere di fronte a una nuova tipologia che potremmo definire "personalista", proprio perché rimette in capo alla persona – alla singola persona e non all’organizzazione sindacale o all’impresa o alla politica – la libertà di scelta sulla propria prestazione, anche nel caso dei lavoratori subordinati.
Un modello applicabile anche in Italia? A rendere difficile una trasposizione meccanica della nuova conquista dei lavoratori tedeschi sono almeno quattro fattori. Il primo è la congiuntura, assai meno favorevole da noi, con un tasso di disoccupazione al 10,8%, il doppio rispetto a quello della Germania, e margini di profitto minori per le aziende. Il secondo, la maggiore presenza di piccole imprese che caratterizza il nostro Paese, nelle quali è più complicato gestire orari e turnazioni differenziate "su misura". Il terzo, la presenza da noi di una quota elevata – circa il 70% – di part-time del tutto involontario, fatto da persone cioè che vorrebbero lavorare più ore nella giornata o più giorni nella settimana, ma che non trovano offerte di occupazione adeguate. Il quarto – e forse più importante – ha invece a che fare con un persistente ritardo culturale sul tema della gestione "personale" della prestazione del lavoro, presente tanto nel sindacato quanto fra gli imprenditori.
Lo dimostrano anzitutto le resistenze all’applicazione da noi di modelli di smart-working e telelavoro, con le prestazioni misurate ancora sulla presenza in ufficio piuttosto che sul risultato, ma soprattutto la forte richiesta di part-time da parte di madri alla quale viene risposto in maniera negativa in piccole e grandi imprese, fenomeno al quale si deve la fuoriuscita di tante donne dal mercato del lavoro. La flessibilità, in Italia, è ancora a senso unico, nelle mani dei soli imprenditori. Il contratto dei metalmeccanici tedeschi dice che è ora di invertire la marcia per riequilibrare diritti, tempo, opportunità.