La filiera dell'idrogeno. Fino a 500mila posti entro il 2050
Un distributore di idrogeno per autotrazione
L’aumento dell’uso dell’idrogeno non sta solo avendo un forte impatto sulla creazione di nuovi posti di lavoro nel campo dell’elettrolisi. Infatti, la nuova fonte di energia non deve solo essere prodotta, ma anche trasportata e immagazzinata, il che richiede una forza lavoro preparata. Secondo uno studio per l’Hydrogen Council, entro il 2030 si stima un potenziale giro di affari di circa 2,5 miliardi di dollari con 10-15 milioni di automobili e circa 500mila camion e la creazione di 30 milioni di posti di lavoro entro il 2050 in tutto il mondo, fino a 500mila solo in Italia. Inoltre, impiegato su larga scala, l’idrogeno potrà coprire circa un quinto dei consumi energetici entro il 2050, con una riduzione di circa sei gigatoni delle emissioni annuali di CO2 rispetto ai livelli attuali, contribuendo quindi per un 20% all’abbattimento delle emissioni serra, necessario a limitare il riscaldamento globale del pianeta. A guidare l’espansione del settore - secondo l'Osservatorio di H2IT - sono gli investimenti, anche in formazione: nel Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza, per esempio, sono stati stanziati 3,64 miliardi di euro proprio per sviluppare il comparto, ma sono soprattutto gli investimenti privati a spingere la crescita. In particolare, 450 milioni sono destinati alla realizzazione di 54 Hydrogen Valley in tutto il territorio nazionale; un miliardo per l’introduzione dell'idrogeno per iniziare il percorso di decarbonizzazione dei settori Hard-to-abate; 250 milioni per lo sviluppo di stazioni di rifornimento stradale e 200 milioni per i piani industriali dedicati alla produzione di elettrolizzatori e alla loro componentistica. Inoltre il 65% delle aziende ha chiuso il 2023 con un incremento degli investimenti sull’idrogeno, per il 70% finanziati con fondi propri, mentre il 22% è coperto da fondi europei, nazionali o regionali. In più, ben il 71% indica la ricerca e sviluppo come strategia d’investimento prioritaria, davanti alla formazione e all’assunzione di nuove risorse (58%). D’altra parte, sempre il 71% delle imprese ha un centro di ricerca interno dedicato all’idrogeno (che è cruciale per gran parte delle aziende); questa percentuale è destinata a salire al 78% nei prossimi anni. Gli investimenti in molti casi si traducono in innovazioni e brevetti. Negli ultimi cinque anni, infatti, oltre un'azienda su tre (36%) ha ottenuto almeno un brevetto o è in procinto di farlo; questa percentuale sale all’85% tra chi si occupa di produzione. È alta la correlazione tra investimenti e innovazione: la metà delle imprese intervistate ritiene di aver raggiunto un alto livello di maturità tecnologica nell’idrogeno. Dalla ricerca emerge che in termini di fatturato, il 2023 si è chiuso nel complesso con segno positivo per il 71% delle imprese e il 58% ha incrementato il giro d’affari dell’attività dedicata all’idrogeno, con aspettative di ulteriore crescita nel prossimo futuro. Che conseguenze hanno avuto crisi energetica, aumento dei prezzi delle materie prime e scenario geopolitico incerto? Per circa la metà del campione (45%), il coinvolgimento nel mercato dell’idrogeno non è pregiudicato dal contesto attuale. Ma c’è di più: il 35% scorge in questa situazione nuove opportunità di mercato e sta quindi accelerando gli investimenti. In altre parole, è vero che l’incertezza generale aumenta, ma il particolare contesto attuale potrebbe dare un’accelerazione decisiva verso la transizione energetica. Un altro fattore che contraddistingue la filiera dell’idrogeno è che l’innovazione viene portata avanti grazie alla collaborazione tra le imprese. Per il 64% le partnership interaziendali sono il modo migliore per crescere in ottica di innovazione collaborativa, seguito da quelle con le Università (60%) e dai tavoli di lavoro nazionali/internazionali (49%). Una cosa è sicura: non esiste innovazione senza un capitale umano adeguatamente formato. Per questo le aziende guardano sia alla formazione interna che alle nuove assunzioni. Proprio a tal proposito, il 42% aumenterà i profili di project manager e punterà ancor di più sul reclutamento di tecnici specializzati (49%), il cui reperimento sul mercato è ritenuto particolarmente complesso in gran parte dei casi. Quasi un’impresa su due ricerca anche le figure junior da formare (47%) e project manager (42%); seguono le figure specializzate in ambito green (35%) e i tecnici di laboratorio (22%).