ATTACCO ALL'EUROPA. La crisi che approda in Olanda mette in riga il “virtuoso” Nord
Con la crisi che approda in Olanda – crisi politica, ma anche economica e in parte finanziaria – la tormentata vicenda dell’euro entra simbolicamente in una nuova fase delle molte che ha sin qui conosciuto. È il momento in cui la turbolenza torna in uno dei luoghi dove principalmente si era formata. Non tanto l’Olanda in sé, ma il blocco dei Paesi "del Nord", i sostenitori del rigore, quelli considerati, a torto, virtuosi in confronto ai dissoluti Stati "del Sud". Una nemesi non inattesa, inevitabile, e che se non altro aiuta a fare un po’ di chiarezza attorno alle vere origini di questa crisi.La mezza verità. Oggi tutti sono abbastanza convinti che i mali dell’euro nascano dal disordine dei conti pubblici di Paesi come l’Italia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda, i cosiddetti Piigs. In questa versione di comodo c’è "una" verità, ma non c’è "tutta" la verità. La cosa che continua ad essere celata, o non ricordata a sufficienza nel dibattito pubblico europeo, è che in realtà la crisi ha origine dall’eccesso dei debiti privati, e non dai debiti pubblici. E che questi debiti privati, delle famiglie come delle imprese, sono stati finanziati e sostenuti dalle banche e dagli istituti finanziari di stampo anglosassone del "virtuoso Nord". Il modo con il quale questo è avvenuto è risaputo: denaro a basso costo per invogliare a indebitarsi, investimenti in prodotti finanziari spericolati e titoli tossici, distribuzione dei rischi nascosti in pacchetti-sorpresa. Gli Stati Uniti hanno fatto da apripista e portano la responsabilità dello scoppio della bolla immobiliare che ha fatto franare tutto, ma sono state le grandi banche di Germania, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio e via dicendo a trasferire il virus del contagio in Europa.
Gli aiuti alle banche. Non è un caso che l’origine della crisi dei mutui subprime venga datata 9 agosto 2007, quando proprio una banca francese, la Bnp Paribas, congela tre fondi di investimento eccessivamente esposti nei subprime. Dal fallimento dell’americana Lehman Brothers, nel settembre 2008, sono i Paesi della "austera" Europa a dover salvare dalla bancarotta le loro maggiori banche per evitare il peggio: la Germania consegna 140 miliardi di aiuti pubblici alla Hypo Real Estate; Belgio Olanda e Lussemburgo mettono in campo 81 miliardi per salvare Fortis Bank; Francia e ancora Belgio e Lussemburgo stanziano 270 miliardi per Dexia; l’Irlanda 40 miliardi per la Anglo Irish; l’Olanda altri 30 miliardi per Ing; la Gran Bretagna fino a 450 miliardi di sterline per salvare la sola Rbs. Per avere un termine di paragone si consideri che il debito della Grecia al tempo ammontava a "soli" 300 miliardi.Dal privato al pubblico. È questa mole immensa di denaro pubblico impiegato per sostenere un sistema bancario sconsideratamente esposto verso la finanza – oltre 2.000 miliardi effettivamente spesi dai governi – a generare la prima recessione in Europa e trasformare quello che inizialmente era un problema di debiti privati in un’emergenza legata ai debiti pubblici. Mandando in fibrillazione quei Paesi con un’economia meno competitiva o conti in via di aggiustamento, come ad esempio l’Italia. Certo, se la Grecia non avesse truccato i conti e la Spagna non avesse gonfiato una folle bolla immobiliare, i "Piigs" avrebbero avuto un trattamento migliore, ma va anche detto che se le banche dei "rigoristi" si fossero comportate come le banche di credito cooperativo o le popolari italiane, la crisi avrebbe avuto ben altro corso.L’Olanda, anche per effetto dei salvataggi bancari e della nuova recessione, oggi ha un deficit al 4,7% del Pil (l’Italia è al 3,9%!) e senza interventi correttivi si avvia al 6% entro due anni, ha un debito pubblico che viaggia verso il 66% e soprattutto un debito privato superiore al 100%, con il sistema dei fondi pensione che rischia un crac di dimensioni epocali. È evidente che finché nessuno ricorderà agli olandesi – e non solo a loro – come si è realmente generata la crisi, questi saranno poco propensi ad accettare sacrifici, convinti come sono che l’origine di tutto risieda sulle sponde del Mediterraneo. Discorso analogo può essere fatto ai tedeschi, ai quali la recessione dei vicini serve a mantenere sotto il 6% l’attivo della bilancia corrente e a tagliare le gambe alle imprese straniere concorrenti. E solo in ultima istanza possono essere giudicati i cosiddetti "Piigs", per essersi fatti trovare allegramente impreparati all’arrivo dell’uragano.
Il peso del rigore. Il rigore che la Germania ha imposto come unica soluzione ai problemi di un Continente pieno di squilibri e senza uscite di sicurezza, sta generando un’ondata populista, anti-europea e xenofoba, con il paradossale effetto di dividere anziché unire, e di isolare Berlino persino nei confronti dei suoi storici e "virtuosi" alleati. I mercati è questo che stanno prendendo di mira, la disunità dell’Europa e l’assenza di un vero sistema di governo, non qualche punto in più o in meno di deficit. Finché le responsabilità di questa crisi non saranno equamente ripartite tra gli europei, e correttamente comunicate loro, sarà difficile immaginare un percorso comune di uscita dalle difficoltà. Con strumenti che facciano rinascere il concetto di solidarietà in Europa e misure che guardino anche alla necessità della crescita, non solo a quella del rigore.