Economia

I dati del 2014. La crescita del lavoro è debole e di scarsa qualità

Francesco Riccardi martedì 3 marzo 2015
Il Mezzogiorno che resta indietro, i pochi occupati in più tutti o quasi a termine, per la maggior parte stranieri, "anziani" e a part-time. È difficile condividere l’ottimismo del ministro del Lavoro sui dati dell’occupazione. Nel complesso del 2014, infatti, gli occupati sono cresciuti di sole 88mila unità e di appena 11mila a gennaio. Un "andamento lento": positivo sì, ma per nulla vivace e poco consistente per poter esultare e vedere con chiarezza la fine del tunnel.Se infatti si analizzano i dati ci si accorge di come il 2014 presenti un bilancio tuttora assai problematico. Partiamo dal Sud, dove la crisi morde ancora e cancella altri 45mila posti di lavoro. Peggio va ai giovani: lo scorso anno i 15-34enni con un lavoro sono diminuiti di 148mila unità, mentre a crescere sono gli occupati ultracinquantenni (più 150mila). Neanche gennaio ha segnato una svolta positiva, con 5mila ragazzi occupati in meno e un travaso di 7mila disoccupati che si riversano tra gli inattivi (cioè non cercano più un’occupazione).Se poi si guarda alla nazionalità degli occupati ci si accorge di come gli italiani restino in difficoltà: i connazionali al lavoro scendono di 23mila unità, mentre sono gli stranieri (regolari) a "tirare": 111mila occupati in più. È che il lavoro cresce soprattutto in comparti a basso valore aggiunto: poco nell’industria (più 61mila), cala ancora pesantemente nelle costruzioni (meno 69mila) mentre l’aumento nel terziario (più 84mila) riguarda in particolare ristoranti, alberghi, servizi alle famiglie e assistenza sociale. Chi lavora, poi, lo fa di meno a tempo pieno (-35mila) e sempre più a part-time (+124mila), senza desiderarlo nel 63% dei casi. La crescita dei contratti a tempo indeterminato è contenuta (+18mila), mentre più ampia è quella dei contrattisti a termine (+79mila). Con gli occupati inchiodati intono ai 22 milioni e 300mila, ben lontani dai 23,5 milioni raggiunti prima della crisi. Per non parlare della disoccupazione al 13%, oltre il doppio del 6% del 2007.Siamo insomma ad "aspettando Godot", all’attesa per gli effetti del Jobs act (e degli incentivi all’assunzione). Ma, al di là di possibili fiammate, la traversata del deserto per tornare nella terra promessa della (piena) occupazione è lunga e faticosa. E i 150mila posti in più nel 2015, pronosticati dal ministro Poletti, non basteranno.