L'intervista. «Commercio equo e partnership: così l’agricoltura africana crea valore»
Stephen Muchiri
«Abbiamo bisogno di un commercio più equo: ad esempio, le tasse d’importazione dell’Unione Europea sui prodotti trasformati impediscono ai piccoli produttori africani di ottenere più valore dai loro prodotti esportando tavolette di cioccolato piuttosto che fave di cacao. Inoltre, dobbiamo affrontare il potere e l’influenza delle grandi aziende agroalimentari che abbassano i prezzi lungo le loro filiere». Stephen Muchiri, keniano, è a capo della Eastern African Farmers Federation, che rappresenta oltre 20 milioni di piccoli produttori agricoli tra Africa orientale e Congo. Muchiri fa parte di una delegazione proveniente da tutta l’Africa che ha appena incontrato la presidenza italiana del G7 in merito al piano Apulia Food Initiative per affrontare la sicurezza alimentare e il cambiamento climatico nel continente africano, in cui si trovano 22 delle 26 economie più vulnerabili del mondo.
Per quanto riguarda le barriere alla distribuzione e al commercio, cosa sarebbe necessario per agevolare i redditi dei piccoli agricoltori?
Gli agricoltori devono essere organizzati in modo da poter beneficiare delle economie di scala, costruire partnership lungo la catena del valore e avere una voce più forte per negoziare prezzi migliori. I regolamenti ambientali dell’Ue potrebbero rendere più difficile l’accesso ai mercati europei per alcuni piccoli produttori. Dobbiamo creare sistemi alimentari più sostenibili ma dobbiamo anche sostenere i piccoli produttori in questi cambiamenti, ad esempio prolungando il periodo di transizione, investendo nello sviluppo delle capacità o rivalutando la praticità di alcuni requisiti.
In che modo i piccoli agricoltori cercano di adattarsi ai cambiamenti climatici? Stanno ricevendo un aiuto concreto dall’esterno?
Molti agricoltori stanno adottando pratiche agroecologiche - rotazione delle colture, pacciamatura, piantagione di alberi e utilizzo di fertilizzanti organici prodotti dal letame o dai residui delle colture - che aiutano a ripristinare la salute del suolo, ad aumentare la resilienza al clima e a ridurre i costi. Gli agricoltori stanno anche condividendo le conoscenze sulle varietà di colture tradizionali e sulle razze di bestiame più resistenti agli impatti climatici. I governi e i finanziatori stanno iniziando a riconoscere l’importanza di questi approcci - come la Tanzania che ha recentemente introdotto una strategia nazionale per l’agroecologia - ma dobbiamo accelerare e aumentare il sostegno.
Nel suo Paese, il Kenya, qual è l’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza alimentare e sulla produzione agricola?
Negli ultimi dieci anni il clima in Kenya è diventato sempre più imprevedibile, con siccità più frequenti, un numero maggiore di parassiti e malattie e persino periodi prolungati di freddo. La mia azienda agricola è stata completamente allagata dopo sei mesi di piogge consecutive e ho perso 20 ettari di coltivazioni. Allo stesso tempo, gli agricoltori di altre zone del Kenya hanno perso i raccolti a causa della siccità. Anche i consumatori ne stanno risentendo. I prezzi dei prodotti alimentari in Kenya hanno subito un’impennata dopo la guerra in Ucraina e rimangono alti, alimentati dall’impatto della siccità sulla produzione alimentare.
L’innovazione e le nuove tecniche agricole riescono a raggiungere anche le piccole comunità?
I piccoli produttori non hanno necessariamente bisogno di tecnologie all’avanguardia. Le loro esigenze cambiano man mano che sviluppano le loro aziende agricole. Per questo è importante che i decisori e i finanziatori lavorino in collaborazione con le organizzazioni di agricoltori, per capire quale sostegno è necessario e quando.
Come può il G7 aiutare concretamente lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare africana?
Ho fatto parte di una delegazione di leader agricoli africani che ha incontrato il governo italiano e istituzioni finanziarie come Cassa Depositi e Prestiti, per condividere le nostre preoccupazioni e richieste sull’Iniziativa del G7 sui sistemi alimentari. Abbiamo sollevato tre questioni chiave. Innanzitutto, l’importanza di lavorare in partenariato con le organizzazioni di agricoltori familiari per garantire che l’iniziativa abbia un impatto reale. I piccoli agricoltori africani producono fino al 70% del cibo consumato nel continente e sono fondamentali per le catene di approvvigionamento globali di materie prime come il caffè. Essi saranno la chiave del successo dell’iniziativa.
Quali gli altri due punti chiave?
Da un lato, la necessità che le organizzazioni di agricoltori familiari abbiano accesso diretto a un maggior numero di finanziamenti, in modo che questi rispondano alle esigenze degli agricoltori, e l’eliminazione delle barriere, come gli alti tassi di interesse, che impediscono ai finanziamenti di arrivare dove sono più necessari. Dall’altro lato, infine, la necessità di destinare una quota maggiore di finanziamenti all’agricoltura sostenibile e resiliente, come l’agroecologia: è fondamentale per costruire la resilienza climatica. Il nostro è stato un incontro proficuo e, speriamo, solo l’inizio di una nuova collaborazione.