Martedì la firma del contratto del commercio, con una flessibilità oraria innovativa; ieri la sigla di quello dei bancari che contiene, fra l’altro, misure a favore dei neoassunti e per il ricollocamento degli esuberi. Dopo il tempo delle riforme più o meno contrastate, torna alla ribalta la contrattazione. Potenzialmente la protagonista di una nuova stagione di costruzione di tutele per i lavoratori e di adattamento alla grande trasformazione per le imprese.Non sarà tutto facile. Anzi, la strada degli accordi è lastricata di ostacoli. Il primo dei quali è il modello stesso su cui si è retto finora il sistema, con gli aumenti salariali legati all’inflazione programmata o meglio all’Ipca, l’indice dei prezzi depurato dalla dinamica di quelli dei beni energetici importati. Un sistema di calcolo per il quale, in questa fase di deflazione i lavoratori avrebbero dovuto restituire alle imprese una parte degli incrementi salariali ricevuti. La questione è da tempo al centro di incontri informali tra le parti e settimana scorsa Confindustria si è detta disposta a trovare un’intesa su un diverso modello. Tutto da costruire per quanto riguarda i nuovi criteri delle dinamiche salariali, ma che dovrà anche rivedere gli assetti e i pesi tra contratto nazionale, territoriale e aziendale.Il tema centrale però potrebbe essere un altro: l’applicazione concreta o la limitazione di quanto previsto nel Jobs act. Una parte del sindacato, infatti, vede i contratti come l’occasione per una rivincita, rispetto all’irrilevanza a cui sono state costrette le confederazioni sulla riforma del lavoro.Così, ad esempio, in una parte della Cgil e della Uil, c’è chi coltiva l’idea di rimettere tutto o quasi in discussione nei contratti, ponendo le imprese con le spalle al muro di fronte a questioni come i licenziamenti collettivi o le assunzioni con applicazione del vecchio regime comprensive di articolo 18 (il caso limitato della cessione di contratti già esistenti prima alla Novartis e ora nelle banche in caso di cessione di ramo d'impresa è stato propagandato come fosse un nuovo modello generale). Ma, estremismi e illusioni a parte, c’è invece uno spazio potenzialmente ampio in chiave non di opposizione frontale quanto di aggiustamento complementare rispetto al Jobs act. Sia riguardo ai criteri di scelta per i licenziamenti collettivi, sia soprattutto sulla proporzionalità dei provvedimenti disciplinari. Il tentativo è di limitare la possibilità di licenziamento (per i nuovi assunti senza reintegra anche se illegittimo) alle sole inadempienze gravi. E ancora due temi fondamentali come le politiche attive, con la richiesta alle aziende di partecipare con proprie risorse alla ricollocazione di chi perde il lavoro e piani di formazione continua per evitare l’obsolescenza precoce dei lavoratori. «Un sindacato al 100% deve pensare al contratto come uno strumento non di ritorsione ma dinamico per tutelare meglio i lavoratori – spiega Gigi Petteni, segretario confederale della Cisl –. Così i corpi intermedi possono giocare un ruolo. Senza invadere campi altrui, ma lavorando anzitutto nel proprio per poter poi avere qualcosa da proporre alla politica».Quanto fertile sarà la prossima stagione contrattuale si vedrà. Anche perché tocca pure alle imprese compiere un salto di qualità culturale, aprendo a una maggiore partecipazione. I primi segnali non sono confortanti, almeno per quanto riguarda i metalmeccanici. La Fiom persegue i suoi progetti di coalizione sociale e la Fim, con il segretario Marco Bentivogli, ha già detto che così sarà difficile anche solo presentare una piattaforma unitaria. Figuriamoci firmare insieme contratti innovativi per le tute blu e per i lavoratori Fca.