Occupazione e fisco. Sbarra (Cisl) sfida Draghi: adesso una nuova politica sui redditi
Nuove politiche per occupazione e fisco. Il segretario della Cisl Luigi Sbarra, a un dibattito in Confindustria
Un no netto a qualsiasi ipotesi di legge sul salario minimo. E soprattutto l’invito al governo ad aprire un’ampia fase di confronto con le parti sociali su occupazione, fisco, politica dei redditi. Il leader della Cisl Luigi Sbarra respinge così i tentativi della politica di invadere il terreno della contrattazione e sfida Draghi: «Senza il contributo delle parti sociali non si completano le riforme e il Pnrr, non si danno risposte alle attese degli italiani».
Segretario Sbarra, i dati Istat segnalano che l’occupazione è cresciuta nel 2021 ma non si è ancora recuperato il livello pre-pandemia. Che cosa occorre fare ancora?
Siamo ancora indietro di quasi 150 mila posti di lavoro, e avanziamo soprattutto nelle fasce più fragili del lavoro a termine. C’è da dare vigore e qualità a questo andamento. Va fatto il più grande sforzo di sempre sull’apprendimento e sulle politiche attive. Dobbiamo privilegiare canali di inserimento stabile nel mercato del lavoro a forte vocazione formativa, come l’apprendistato, e far partire gli investimenti del Pnrr che, specialmente al Sud, devono generare lavoro buono e produttivo, rivolto in particolare a giovani e donne. Sul lavoro femminile siamo ancora fanalino di coda d’Europa: bisogna promuovere misure di conciliazione, a partire dal lavoro agile, per lavoratori e lavoratrici.
Il Pil cresce ma un quarto dei lavoratori ha bassi salari, una famiglia su dieci di occupati è povera. È un fallimento per il sindacato?
È il fallimento di una politica che per lungo tempo ha pensato di poter fare tutto da sé, mettendo in soffitta la concertazione e tenendo bloccati investimenti e riforme. Ed è una sfida in cui deve entrare da protagonista il sindacato della contrattazione, dell’autonomia e della responsabilità. I dati del Pil sono incoraggianti, ma mal distribuiti. Abbiamo fatto passi importanti in manovra, ma il 2022 deve essere l’anno delle innovazioni strutturali su fisco, lavoro, pensioni, politiche sociali. Serve un nuovo scostamento di bilancio per cominciare a comporre un’agenda sociale che da un lato risponda a un’emergenza sanitaria, economica e sociale ancora rovente e dall’altro cominci a trasformare in meglio il nostro modello di sviluppo.
Un’agenda con quali temi e obiettivi?
Dobbiamo ritrovarci in una politica condivisa dei redditi, ridurre le tasse a lavoratori e pensionati, contrastare la povertà, realizzare politiche attive efficienti e ben collegate ad ammortizzatori universali, rilanciare le politiche industriali, investire su scuola, pubblico impiego, sanità, mezzogiorno e diritti di cittadinanza. Bisogna governare insieme, in modo partecipato, l’attuazione dei progetti del Pnrr, accelerando i cantieri e ponendo forti condizionalità sociali, occupazionali, contrattuali agli investimenti. E poi va estesa la contrattazione decentrata, incrementando la produttività e redistribuendola sui salari. Tutte questioni collegate, da affrontare nelle prossime settimane consolidando il dialogo tra il Governo e le parti sociali.
Perché però siete contrari all’ipotesi di introduzione di un salario minimo, ormai diffuso in quasi tutta Europa?
Il salario minimo legale è un pericoloso miraggio, così come una legge ordinaria sulla rappresentanza. Misure che non solo non risolverebbero il problema dei bassi salari, ma rischierebbero persino di peggiorarlo, schiacciando verso il basso le retribuzioni medie e facendo uscire moltissimi lavoratori dal perimetro tutelato dei buoni contratti. Oggi il 90% per cento dei lavoratori italiani è coperto dai contratti collettivi, e non esiste settore che non possa avere un buon Ccnl di riferimento. Bisogna sostenere le relazioni industriali e la contrattazione, dobbiamo portare il lavoro in dumping dentro gli accordi nazionali. È l’Europa stessa che indica questa via per il nostro Paese.
Dite no anche alla versione sperimentale del salario minimo, che prevede un intervento limitato ad alcuni settori?
La strada maestra resta per noi quella dell’incontro contrattuale dinamico e adattivo. Se c’è una riforma da realizzare non è su un salario minimo di Stato, ma su una questione salariale che esiste e invoca misure non demagogiche. La grande parte del lavoro povero del nostro Paese, come è scritto anche nel rapporto del Ministero, è composta da persone inquadrate in maniera incoerente rispetto alle reali mansioni, o incastrate in finte partite Iva o prigioniere del part-time involontario. Il problema di questi lavoratori non è la paga oraria, ma la stabilità negata, le poche giornate lavorate. Ricordo che un buon contratto non è solo salario, ma anche riconoscimento dei periodi di malattia, ferie, tredicesima, maggiorazioni, premi di risultato, welfare contrattuale: diritti che nessuna legge indifferenziata può definire, e che rispondono alle specificità di ogni comparto.
Ha evocato un grande accordo come fu quello del ’93, ma il sindacato cosa può offrire oggi sul tavolo per un’intesa?
Concertazione, contrattazione e partecipazione rimangono gli strumenti per ridisegnare il sistema economico verso una più forte democrazia economica in cui capitale e lavoro non siano più antagonisti ma concorrano insieme allo sviluppo sostenibile, garantendo una più equa distribuzione dei profitti aziendali, il governo delle transizioni, formazione permanente, sicurezza sul lavoro. Il sindacato, da parte sua, deve saper mettere in campo una nuova capacità progettuale, responsabilità, partecipazione, buone flessibilità negoziate. Un modello sindacale che abbiamo portato in piazza il 18 dicembre a Roma, e su cui oggi chiamiamo anche Cgil e Uil.
Volete mettere molta carne al fuoco ma ci sono le condizioni politiche per arrivare davvero a una grande intesa?
Penso che la rielezione del Presidente Mattarella, a cui vanno i nostri auguri, sia la migliore garanzia di unità, coesione sociale e responsabilità in una stagione complicata. Il Governo Draghi non potrà che trarne giovamento ma dovrà consolidare e scegliere fino in fondo il metodo del confronto costruttivo con il sindacato e di un rinnovata concertazione finalizzata e negoziare un forte Patto Sociale per sostenere insieme la ricostruzione e la ripartenza del Paese. La Cisl lavorerà per questa prospettiva. Nessuno può farcela da solo in questa fase cruciale e decisiva.