Lavoro. L'armatore Messina: «I giovani vogliono lo smart working, in mare non si può»
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Oggi, in Italia, un giovane in cerca di occupazione per prima cosa - chiede di fare lo smart working. Difficile, in mezzo al mare. Faticano così a trovare addetti anche importanti realtà come la società marittima Ignazio Messina & C. di Genova, che ha appena comprato la Jolly Verde, una nave full container da 6.300 teu, cioè la più grande della flotta per il Medio Oriente e l’India. Ecco come l’amministratore delegato Ignazio Messina vede il mercato del lavoro.
Che figure professionali cercate?
Stiamo cercando giovani laureati, da inserire all’interno della struttura commerciale, con un percorso di crescita volto al ruolo di sales executive piuttosto che sales inside, nonché per le sedi estere. Siamo anche alla ricerca di personale marittimo italiano in possesso dei titoli per poter navigare, sia per i ruoli ufficiali che per i cosiddetti ruoli “comuni”.
Perché si fa fatica a individuare candidati?
Ci sono meno giovani in cerca di lavoro e sono calate le candidature spontanee. Oggi i giovani selezionano maggiormente le aziende ed il mismatch tra domanda ed offerta lo consente. Occorre essere maggiormente attrattivi, fornire non solo un “posto di lavoro” bensì un percorso definito di crescita professionale e delle relative competenze, senza tralasciare la crescita personale e le soft skill. Dev’essere un investimento per entrambi. È cambiato anche lo stile di lavoro: dopo la pandemia lo smart working è una fra le esigenze più importanti che ci manifestano i giovani.
Che problema pone questa richiesta?
Noi abbiamo bisogno soprattutto di persone che battano il mercato per acquisire traffico e vadano nei porti a risolvere problemi operativi, o che navighino sulle nostre navi…
Da dove vengono i candidati?
Le candidature spontanee che ci giungono attraverso i canali social e il sito (anche qualcosa in cartaceo) sono variegate. Per la maggior parte sono locali (Genova e Liguria) e del Sud Italia. Genova non risulta molto attrattiva per candidature provenienti da nord ovest e nord est.
Che esperienze valutate?
Le storie personali che raccontano sono molto importanti anche al fine del processo di selezione - come si è impiegato il proprio tempo nei momenti liberi da impegni scolastici -, in quanto aiutano a definire la “apertura al cambiamento”.
I candidati dove sanno che li cercate?
Lo apprendono dai canali social, dove “postiamo” i nostri fabbisogni, dai career day e da altre iniziative in cui presentiamo la nostra azienda. Tuttavia, spesso non si presentano neppure agli incontri con le aziende del nostro settore – la Blue economy – perché sembra che i lavori “tradizionali” abbiano perso appeal; moltissimi vogliono lavorare nel digitale, da casa, avere una gestione flessibile del tempo lavorativo . Anche i contatti tradizionali – di persona o presentando i curricula – sono quindi soppiantati dai social.
Ha parlato del problema con altre aziende?
Sì, ne parliamo spesso. Ravvisiamo la fine del paradigma in base al quale investire sul “sacrificio del quotidiano” permette di ambire ad una crescita futura. Oggi i giovani vogliono essere “padroni” del loro futuro e avere una bilanciamento tra vita privata e lavoro che consenta di vivere la loro età e i loro interessi, ma spesso sbilanciata a favore di questi ultimi. Occorre accettarlo e ripensare il modo di vivere in azienda, modulando tra diverse generazioni presenti nel processo produttivo.
Cosa dovrebbe fare il sistema dell'istruzione professionale?
Seguire l’esempio degli Istituti Tecnici Superiori. Un costante confronto con il mondo delle imprese e la predisposizione di percorsi formativi sviluppati in co–design, immediatamente aggiornati con l’evoluzione tecnologica. Non per nulla gli Istituti Tecnici Superiori hanno tassi di occupazione oltre il 90% a fine corso.
E gli istituti del mercato del lavoro?
I centri per l’impiego dovrebbero coniugare sui territori la domanda con l’offerta. Dovrebbero “indirizzare” le attività formative (e relativi fondi) verso le aree di maggior fabbisogno sul territorio. Questo non avviene o avviene solo parzialmente. Non c’è colloquio diretto con le imprese. Oggi questo ruolo viene “intercettato” dai privati (società di lavoro interinale). Eppure, esistono in Europa casi di vera eccellenza dai quali potremmo attingere le migliori pratiche.
Cosa direbbe a un giovane che non riesce a trovare un lavoro?
Di non aspettare a trovare il lavoro per cui ha studiato o per cui sente un forte interesse, se non riesce a trovarlo: di iniziare a lavorare comunque, perché l’esperienza lavorativa, qualsiasi sia, è fondamentale e formativa; spesso si trova un lavoro a cui non si aspirava che invece piace e permette di crescere economicamente. In tal senso, il salario garantito è stata una pessima esperienza: ha sicuramente aiutato persone che nel periodo pandemico avevano perso il lavoro o persone di mezza età che hanno maggiori difficoltà a riposizionarsi sul mercato del lavoro, ma insegnare a un giovane che può stare a casa tutta la vita senza fare niente e percepire uno stipendio è rubargli il futuro.