INTERVISTA. Guzzetti: «Fondazioni pilastro del nuovo Welfare»
Le banche? Le Fondazioni? La finanza? I veri problemi – o meglio: i veri «temi» – per l’Italia sono due: un tasso di disoccupazione insostenibile, soprattutto per i giovani, e la povertà dilagante. È da questo angolo di osservazione su quanto sta accadendo nel panorama economico-finanziario italiano, caso Mps incluso, che Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri (l’Associazione delle Fondazioni) sceglie di parlare. Perché si eviti di tagliare anche il raccolto insieme alla gramigna. E per spiegare «ancora una volta», sospira, «il ruolo che hanno svolto e stanno svolgendo le Fondazioni di origine bancaria nel nostro Paese: sono il pilastro del nuovo Welfare».Un pilastro, presidente, che ha rischiato di essere incrinato dalla più grave crisi finanziaria dal Secondo Dopoguerra. Nel caso di Siena addirittura di franare rovinosamente, anche a causa dei possibili reati sui quali gli inquirenti stanno indagando.Parto dalla Fondazione Cariplo, che conosco meglio: il patrimonio è tornato ai livelli pre-crisi. Un patrimonio di 6,2 miliardi, che ha quindi mantenuto il suo valore. Anzi: è tornato ad essere quello del 1997 quando – qualcuno ogni tanto se lo dimentica – vendemmo il 100% di Cariplo, la banca.Oggi Fondazione Cariplo è comunque grande azionista di una banca.Abbiamo investito parte dei soldi incassati dalla cessione nell’allora nascente Banca Intesa. Della quale, prima della fusione con il San Paolo di Torino, diventammo azionisti con circa al 15%. Una percentuale che rispettava la diversificazione degli investimenti cui le Fondazioni sono chiamate. Oggi siamo azionisti al 4,68% di Intesa Sanpaolo (la Compagnia di San Paolo ha il 9,88%, ndr) e il resto delle azioni sono sul mercato.Volete restare grandi azionisti?Abbiamo dimostrato che si può "vendere la banca", lo abbiamo fatto come prevedeva la legge, e siamo stati pagati in contanti. Abbiamo poi reinvestito nell’ottica della diversificazione, ci siamo dati delle regole di investitori di lungo periodo e abbiamo tenuto il titolo Intesa anche quando valeva 70 centesimi. Questo è fare gli investitori istituzionali, di cui tanto si lamenta la mancanza in Italia.Lei parla di diversificazione: come è investito il patrimonio di Fondazione Cariplo?Il 26% è investito nel Monetario Euro, il 34% nell’Obbligazionario, sempre Euro, il 19,35% nell’Azionario Euro, di cui l’investimento principale, il 17,88%, è in Intesa Sanpaolo, e il 14% nell’Azionario Extra Euro (il 6% sono Mission Connected Investments, ndr).C’è chi attacca l’eccessivo radicamento al territorio delle Fondazioni, che ne comprometterebbe in qualche modo autonomia e libertà di azione.Ma le Casse di risparmio, da cui le Fondazioni sono nate, erano un frutto del territorio, avevano un radicamento fortissimo proprio sul territorio. E noi continuiamo a servire il territorio, secondo il nostro Statuto. Tanto per fare un esempio: se il patrimonio artistico di questo Paese è stato salvato, è in larga parte grazie alle Fondazioni.Quanto è successo a Siena rischia tuttavia di avere ricadute gravissime proprio sul territorio, a cui verranno tagliate drasticamente risorse. La crisi di Siena sta proprio nella mancata diversificazione degli investimenti da parte della Fondazione, che fino a un anno fa controllava il 51% del Montepaschi: crolla la banca, crolla la Fondazione.Anche le banche sono accusate di non finanziare più imprese e famiglie...Questa è l’accusa più grave e più falsa che si continua a fare al nostro sistema da parte di un certo pensiero iper-liberista e dei suoi sostenitori. Dicono che le nostre banche sono sotto-capitalizzate, che non hanno una base patrimoniale sufficiente, e per questo non ce la fanno a finanziare imprese e famiglie. Le Fondazioni – questo il ragionamento capzioso – dovrebbero lasciar spazio a nuovi azionisti, magari stranieri, perché così, aumentando il capitale, le banche avrebbero più possibilità di erogare credito. Prendiamo il caso di Intesa San Paolo, anche se lo stesso discorso si potrebbe fare per UniCredit: proprio per mettere in sicurezza la banca prima che scoppiasse la grande crisi finanziaria, le Fondazioni hanno sottoscritto pro-quota l’aumento di capitale. Operazione fatta un anno prima che arrivasse lo tsunami, proprio per mettere in anticipo in sicurezza la banca e consentirle di continuare a erogare credito, cosa che è stata fatta, anche nei mesi più duri. Questi sono fatti, non interpretazioni.Ora però deve intervenire lo Stato, con i Monti-bond, per salvare la terza banca del Paese. Ed è divampata la polemica, soprattutto politica, sull’utilizzo di denaro pubblico per coprire i buchi di un istituto di credito.A oggi lo Stato e i cittadini italiani non hanno speso un euro per le banche. A differenza di quanto successo in Germania, in Francia o in Olanda. Lo stesso in Gran Bretagna: sono stati spese centinaia di miliardi, denaro pubblico, per salvare le banche. In Italia no.Resta il caso di Mps e dei Monti-bond, in teoria, denaro pubblico.Quei soldi Mps non li ha gratis. La banca si è impegnata a restituire 3,9 miliardi, un’inezia se paragonata ai soldi spesi negli altri Paesi (vedi box in pagina, ndr), pagando il prestito a caro prezzo: quasi il 10%.È vero, le Fondazioni hanno sostenuto le banche. Ma, insistono i più critici, proprio perché le vogliono controllare.Altra grande falsità. Le Fondazioni hanno il 20% di Intesa San Paolo, in Unicredit detengono circa il 14%. Ed è così per la maggior parte delle partecipazioni nelle altre banche. Sono quote importanti, da investitori istituzionali, non da controllori delle banche. Il resto dei capitali è sul mercato. Il Montepaschi, ripeto, è in tal senso un’eccezione.Eppure c’è chi sostiene che le Fondazioni dovrebbero comunque vendere le loro azioni bancarie.A che prezzo? Fondazione Cariplo ha in carico le azioni Intesa a 1,90 euro. Se le vendesse distruggerebbe larga parte del suo patrimonio. E poi: chi compra? Gli stranieri? La domanda vera è: cosa fanno le Fondazioni con le loro partecipazioni nelle banche? Oltre a garantire stabilità nell’azionariato, «girano» i dividendi sul territorio. Alla comunità e alle persone.Ancora: da diversi fronti sono arrivate sollecitazioni affinché la legge Ciampi sulle Fondazioni venga aggiornata.La legge Ciampi stabilisce un punto fondamentale: le Fondazioni sono Enti privati senza scopo di lucro e con autonomia statutaria. La legge stabilisce natura e funzionamento degli Enti. C’è chi ha cercato di cambiare quella natura, ma ci sono due sentenze della Corte costituzionale che l’hanno confermata. E poi la legge Ciampi dice: dovete diversificare. Noi l’abbiamo fatto, la Compagnia San Paolo l’ha fatto, la maggior parte delle Fondazioni l’ha fatto. Non si può prendere l’anomialia Mps e buttare via tutto quello che gli Enti hanno dimostrato di fare negli ultimi anni di crisi.Ovvero?Oltre 13 miliardi e mezzo di donazioni per sostenere iniziative in diversi settori del Non profit dal 2002 al 2011. Dal 2007 a oggi Fondazione Cariplo ha espresso il massimo impegno della sua storia in un momento anticiclico delle risorse destinate a sostenere i progetti del Terzo settore: oltre 6.800 progetti finanziati con più di 1 miliardo di euro. Dal 1991 ha sostenuto oltre 25mila progetti, con contributi che vanno ben oltre i due miliardi di euro. Insomma: le Fondazioni hanno puntellato il Welfare. Hanno fatto da stampella allo Stato sociale minato dalla crisi. Si è formato un sodalizio fra volontariato e Fondazioni che è un nuovo modello di Welfare. Vogliamo distruggerlo?