Industria alimentare. Così Israele prepara i latticini prodotti da un fungo
Uno scienziato nel laboratorio di produzione delle proteine del latte dal fungo koji
Dopo la carne prodotta in laboratorio, arrivano i latticini senza vacca. E non stiamo parlando dei surrogati di origine vegetale, fatti con latte di soia, di mandorle o di cocco. Bensì di yogurt, formaggi spalmabili e persino gelato con le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del latte di vacca ma “animal free”. A scommetterci è un’azienda di food-tech israeliana, la ImaginDairy. Fondata nel 2020, si è appena trasferita al quinto piano di un palazzo d’acciaio nel futuristico distretto di Tirat Carmel alla periferia di Haifa. Dalla parete vetrata dell’ampio spazio break, lo sguardo va sui loghi di Google e di Microsoft che troneggiano sui palazzi vicini.
Trentuno dipendenti, tutti giovani, in maggioranza donne con dottorato di ricerca. Contano di immettere il prodotto sul mercato in meno di un anno. Per mercato s’intende quelli israeliano e americano, perché la legislazione europea non lo consentirebbe. Norme non al passo con i tempi, secondo i giovani imprenditori e biofisici. Da questa parte del Mediterraneo si chiama prudenza e tutela delle diversità e delle culture alimentari. «Ma il Camembert lo lasciamo fare ai francesi» scherza Roni Zidon-Eyal, la vicepresidente dello sviluppo commerciale. Neanche per mozzarelle o parmigiano è pensabile affidarsi all’ingegneria genetica e all’intelligenza artificiale. Perché sono questi gli strumenti che consentono di ottenere il “latte senza vacca” per la produzione di latticini industriali. «Tutto quello che è Ogm viene buttato durante il processo – rassicura Zidon-Eyal -. Restano solo le proteine».
Com’è possibile realizzare in laboratorio le stesse proteine del latte di vacca? Tutto comincia da un fungo, il koji (Aspergillus oryzae) molto presente nella cucina asiatica (serve a fare salsa di soia, miso, sakè) e ultimamente in voga tra gli chef di grido che lo usano per la fermentazione controllata di diversi alimenti. Il processo si articola in quattro fasi, in altrettanti laboratori. La prima è quella dell’ingegneria genetica: a partire dal microrganismo del koji si interviene, con ripetuti passaggi di controllo e di ottimizzazione, modificando il Dna della cellula fino a ottenere le migliori condizioni per la successiva fermentazione che equivarrà alla produzione delle proteine. Dal primo laboratorio esce la “micro vacca”, una coltura del microrganismo.
La "micro mucca": la coltura del fungo koji - Brogi
Il secondo passaggio è quello della fermentazione, in micro silos non diversi da quelli usati (con altre dimensioni) per il vino e la birra. Segue la separazione della biomassa (il koji geneticamente modificato, che viene eliminato) dal prodotto della sua fermentazione (il futuro “latte”). Il risultato è un liquido giallastro non alcolico, che ha soprattutto proteine. Nel terzo laboratorio avviene il processo di purificazione, tramite filtraggio: vengono isolate le proteine del latte. Il liquido che ne esce è trasparente, acquoso, un concentrato proteico che viene poi essiccato in proteine del latte in polvere. L’ultima fase è quella della produzione di latte e latticini, usando la polvere di proteine del latte.
Il prodotto finale: la polvere di latte che servirà a produrre i latticini - Brogi
Quella che uscirà da ImaginDairy sarà una sostanza bianca, che sarà venduta all’industria alimentare. I latticini che ne deriveranno saranno privi di lattosio e di colesterolo, nonché di ormoni e di antibiotici, pur avendo le proprietà nutritive del latte vaccino. Prodotti «vegani e kosher», precisa Zidon-Eyal, rispondenti a due esigenze diffuse tra i consumatori israeliani. Per il mercato internazionale gli argomenti sono quelli ambientalisti: «A parità di prodotto, si ha una riduzione del 93% dei gas serra, del 98% di acqua e del 99% di utilizzo del suolo». Tenendo conto che entro il 2050 la domanda mondiale di proteine «sarà raddoppiata», a Tirat Carmel sono convinti che «le tecnologie saranno indispensabili a sfamare il pianeta».
«La vera sfida è stata quella di trasferire su larga scala e rendere economicamente conveniente un processo che, dal punto di vista tecnico e scientifico, era già realizzabile 25 anni fa», spiega Eyal Afergan, amministratore delegato e cofondatore dell’azienda. «Non usiamo nient’altro che cibo, a cominciare dal fungo di partenza», puntualizza.
L’approvazione della Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che regolamenta i prodotti alimentari, è già arrivata. Così come la certificazione israeliana e kosher.
Sul bancone della sala break vengono portati i latticini sperimentali per l'assaggio. Yogurt al naturale e alla frutta, crema spalmabile, involtini di sfoglia ripieni di formaggio. E persino il gelato. All’aspetto e al gusto non diversi dai corrispettivi prodotti dell’industria della trasformazione casearia. Sono pronti a invadere gli scaffali dei supermercati d’oltreoceano e dell’altra parte del Mediterraneo. La vecchia Europa continuerà a preferire il chilometro zero, le denominazioni di origine protetta e le eccellenze regionali. Il fungo non ha imparato, almeno finora, a produrre latte diverso a seconda dell’erba mangiata dalle vacche.
Una delle fasi finali del processo di laboratorio - ImaginDairy