Economia

Indagine. Tra grandi dimissioni e mito del posto fisso

Maurizio Carucci martedì 11 ottobre 2022

Anche lo stress spinge i lavoratori a dimettersi e scegliere impieghi più tranquilli

Il 41,1% delle aziende ha indicato come la sfida più importante dell’anno quella di attrarre e trattenere i talenti, leva chiave per la competitività in un mercato sempre più difficile, dove le dimissioni sembrano crescere, così come le difficoltà a trovare personale qualificato. Dall’indagine InfoJobs Trend Hr 2022 è emerso che nei primi sei mesi del 2022, il 60,1% delle aziende italiane ha riscontrato un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021, contro un 34,1% che non ha notato differenze e una piccola parte (5,8%) che invece sostiene che le difficoltà del mercato del lavoro abbiano ridotto il numero dei dimissionari. I motivi dell’aumento significativo in termini di dimissioni per i responsabili Hr italiani sono riconducibili a un mix di fattori. Innanzitutto, dopo le difficoltà della pandemia, una nuova consapevolezza delle priorità e un ritrovato coraggio di cambiare lavoro per seguire aspirazioni e desideri da parte dei professionisti (30,3%) e, per il 29,8%, la ricerca di nuove opportunità di carriera e di un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale, soprattutto da parte dei giovani. È ancora alta la percentuale di aziende (30,4%) che dichiara di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, anche se, la maggior parte (69,6%) dichiara, invece, di avere programmi ad hoc. Prima tra tutte le leve utilizzate dalle aziende con il 45,9%, è il pacchetto welfare aziendale: formazione continua e per tutti, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita; seguono l’impegno per un modello organizzativo meno gerarchico e più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e, infine, attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). Tra le aziende che affermano di non avere all’attivo azioni per trattenere i talenti, il 73,4% sta lavorando affinché a breve vi siano soluzioni per tenere maggiormente ingaggiati i dipendenti. E mentre il 17,9% ne sottolinea il fattore economico, in questo momento non sostenibile dall’impresa, solo l’8,4% non ritiene necessario adoperarsi per i talenti già presenti in azienda. Quando, invece, l’obiettivo è attrarre nuovi talenti è l’offerta di un percorso di carriera concreto la leva più efficace (44,5%), seguita da flessibilità oraria e possibilità di lavorare in smart working (26,6%), formazione professionale gratuita, che va dalle lingue al tech (24,2%), infine pacchetti welfare per dipendenti e familiari (21%) e stipendi sopra la media e benefit in senso ampio, dal parcheggio ai buoni pasto (18%). Ma la ricerca di nuovi talenti inasprisce la competizione tra aziende, infatti spesso è proprio tra i competitor che si ricercano nuovi possibili dipendenti. Secondo gli Hr intervistati, per sottrarre talenti si utilizza in primis il fattore economico (60,2%), seguito dalla prospettiva di un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), una reale possibilità di carriera (11,7%) e il caring dei dipendenti (10,9%). Cosa pensano invece i lavoratori delle politiche della loro azienda? Si sentono motivati a restare o sono spinti al cambiamento? Dall’indagine emerge un generale malcontento, tanto che l’80,9% dei rispondenti non consiglierebbe a un amico/conoscente, che svolga un lavoro simile al proprio, l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%) o di stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). Il 66,7% dei dipendenti coinvolti nell’indagine, infatti, non si sente valorizzato dall’azienda in cui lavora, contro un 27% che, seppur apprezzi i riconoscimenti dell’azienda, pensa che il datore di lavoro possa e debba fare di più per i propri dipendenti. La situazione difficile è dovuta principalmente dalla sensazione di non vedere un giusto percorso di crescita professionale. Scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché promuovere e valorizzare le potenzialità di quelle interne (37,6%). Il 27,5% evidenzia le possibilità di crescita non per tutti, quindi riservate esclusivamente a particolari figure professionali, ma uno speranzoso 12,5% prevede maggiore attenzione per questa tematica nel prossimo futuro. Di contro c’è chi percepisce l’impegno dell’azienda nel fornire possibilità di carriera e percorsi di formazione, ma ne lamenta la poca comunicazione interna (16,3%), solo il 6,1% riconosce all’azienda il suo impegno nel proprio percorso di crescita professionale interno in azienda. Se le aziende confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti, i candidati dicono anche che è la leva principale per restare. Il 52,7% infatti conferma che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato alle competenze e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. Smart-working e orario flessibile, ma anche una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse tanto da guadagnarsi il titolo di “leader gentile” sono fattori fortemente motivanti, sostenuti a pari merito dal 22,3% dei rispondenti. Viene naturale domandarsi, quindi, se ormai si sia perso il mito del posto fisso. L’ideale, per il 50,4%, è il compromesso fra un posto fisso che sia anche rispettoso della conciliazione vita-lavoro. Per il 30,4% la sicurezza vince sempre e su tutto, perché la stabilità economica è fondamentale. Infine, il 19,3% imputa alla consapevolezza stessa di un equilibrio vita privata e lavoro il “non accontentarsi”. Per le aziende, si dovrà fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%) e modificare l’approccio culturale della propria azienda, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando costantemente per trovare punti di incontro per tutte le parti (25%). L’orizzonte temporale a cinque anni, infine, restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di imparare e di crescere (41,7%), o nei panni di imprenditore o di chi ce l’ha fatta a raggiungere il proprio sogno professionale da dipendente (37,2%), o ancora in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche, nonostante il lavoro attuale piaccia (13,2%), mentre solo il 7,9% si vede nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

Cambiano i valori dei candidati: meno carriera e più benessere

Secondo i dati dell’Osservatorio Inps, negli ultimi sei-otto mesi, più di un milione di candidati italiani avrebbe dato le dimissioni. Ora, però, sembrerebbe che i lavoratori stiano facendo un passo ulteriore, per certi versi ancora più difficile da analizzare, che è connesso alla ricerca di benessere: niente ritmi di lavoro iper-stressanti, niente connessione continua e niente rincorsa alla crescita professionale a tutti i costi. «Indipendentemente da come vogliamo definire questo fenomeno – spiega Francesca Contardi, managing director di EasyHunters – dobbiamo necessariamente fare una riflessione perché il fatto che molti candidati abbiano, negli ultimi due anni, stravolto i propri valori e abbiano iniziato a considerare il lavoro e la carriera non una priorità: abbiamo sentito storie di alcuni candidati che hanno dato dimissioni volontarie, senza avere una alternativa di lavoro già pronta. Tutto questo ha un impatto notevole anche sulla vita delle aziende che, se non vogliono perdere i migliori talenti, dovranno mettere in campo strategie nuove per raggiungere maggiori livelli di engagement delle proprie risorse». La poca motivazione porta le persone a svolgere solo le attività ritenute fondamentali per portare a termine compiti e progetti. Significa, in altre parole, non andare mai oltre le proprie mansioni. Il lavoro, dunque, non è più al centro della vita e anzi c’è una netta separazione tra vita professionale e vita privata, con paletti stabiliti e invalicabili. Questo è probabilmente un’eredità del Covid-19, periodo nel quale siamo stati costretti a vivere con meno e molti si sono resi conto che, tutto sommato, non è poi un aspetto così negativo. Cosa possono fare, dunque, le aziende per evitare che questa situazione possa sfuggire di mano e impattare sui livelli di performance? Poiché, in gran parte delle imprese, la presenza costante in ufficio non è più così scontata, è fondamentale che i manager siano in grado di cogliere – anche a distanza – segnali di malessere o disallineamento delle persone, promuovendo la cultura dell’ascolto e del confronto continuo. «Essere disponibili al confronto e all’ascolto – aggiunge Contardi – permette di cogliere, in breve tempo, eventuali criticità, ma soprattutto crea relazioni basate sulla fiducia e aiuta a costruire (o ricostruire) un ambiente sano, nel quale le persone si sentano parte di un gruppo che ha gli stessi obiettivi e gli stessi valori. Non servono grandi slogan, ma ambienti di lavoro flessibili non solo in termini di tempi e luoghi, ma soprattutto di gestione delle persone che, oggi più che mai, desiderano bilanciare nel miglior modo possibile vita professionale e vita privata».

Come ridurre la mancanza di personale qualificato

Da una recente indagine di Confartigianato emerge un quadro piuttosto sconfortante: le aziende italiane faticano a trovare il 52% della manodopera qualificata e in più, nel nostro paese, il 23,1% (circa 1.114.000 persone) di giovani fra i 15 e i 29 anni non studia, non si forma e non cerca lavoro. Questi dati – precisa Salvatore Caruso, Manager JHunters brand di Hunters Group – dimostrano quanto sia complicato, in una situazione simile, facilitare lo sviluppo organico e la crescita della macchina produttiva pur avendo a disposizione un capitale umano che potrebbe soddisfare le esigenze delle aziende. La vera sfida, in realtà, non è tanto far incontrare domanda e offerta, ma far sì che l’offerta di lavoratori qualificati possa crescere in maniera efficiente, così da rispondere ai bisogni delle aziende. Come? In primo luogo creando piani di studio e scuole di specializzazione che formino giovani con le giuste competenze, legate soprattutto all’innovazione digitale e all’ambito Stem». La riforma degli Its, che da luglio 2022 sono stati ribattezzati Its Academy, può considerarsi un piccolo passo nella giusta direzione, ma non può essere certamente una risposta esaustiva. Parliamo di una riforma da 48 milioni di euro, per un intervento rivolto a un istituto di specializzazione post-diploma. La strada dovrebbe essere quella di rivedere e perfezionare i piani formativi degli istituti tecnici, in quanto la scuola secondaria è il principale bacino dal quale le aziende attingono per soddisfare le proprie necessità di personale tecnico-qualificato. Sul fronte Università, il divario di competenze regge meglio il confronto con il mercato del lavoro, ma anche per i laureati la domanda delle aziende è maggiore dell’offerta, soprattutto quando parliamo di profili Stem. Sarebbe fondamentale intervenire sul sistema di orientamento scolastico, perché non sempre i giovani diplomati hanno un’adeguata conoscenza del mercato del lavoro e di quelle che sono le esigenze reali delle imprese. «La formazione – prosegue Caruso – resta certamente una delle vie principali che le aziende devono percorrere per provare a colmare il gap di competenze. Il caso del programma Cybersecurity Skilling di Microsoft Italia è un esempio lampante di come un’impresa possa giocare un ruolo attivo nel tentativo di ridurre quella distanza di competenze, ma c’è ancora molto da fare. Hunters Group, per colmare il gap di competenze, ha in programma per il nuovo anno accademico e scolastico di proseguire la collaborazione e il partenariato con gli enti formativi (Its, Università, Master, Junior Enterprise) e le associazioni studentesche. Questa collaborazione crea un circolo virtuoso tra azienda e studenti, perché alimenta lo scambio di esperienze e competenze. L’obiettivo è avvicinare gli studenti al mondo del lavoro ed aiutarli a scegliere consapevolmente per il proprio futuro. La risposta di chi partecipa agli eventi di orientamento è sempre molto positiva e dimostra quanta voglia di conoscenza e proattività lavorativa abbiano i ragazzi che, per primi, avvertono la necessità di ridurre il mismatch scuola/università e mondo del lavoro, in un mercato sempre più in movimento e digitalizzato».

Il sistema formativo causa del disallineamento

Forti divari territoriali, alto tasso di dispersione e abbandono scolastico, deficit nelle competenze di base con punte più alte nelle regioni del Sud, influenza dell’origine socio-economico e culturale. Sono alcune delle criticità del sistema di istruzione e formazione italiano, peraltro all’origine del disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, che impattano in maniera significativa sull’economia. «Affrontare e risolvere queste gravi mancanze, che vedono l’Italia penalizzata rispetto ad altri Paesi europei, significa agire lungo tutto il percorso di istruzione dalla scuola primaria all’Università. Per superare le criticità del sistema formativo, la scuola necessita della partecipazione dell’intera società, in un approccio coerente e solidale - afferma il presidente del Cnel Tiziano Treu -. Non è una questione solo di infrastrutture materiali. In questa ottica, le risorse del Pnrr potrebbero rappresentare un’occasione imperdibile anche per consolidare i Patti educativi di Comunità. Con questo spirito, il Cnel ha chiamato a raccolta le parti sociali per una riflessione che vede la scuola come presupposto per la costruzione dei lavoratori e, prima ancora, dei cittadini del futuro. La nostra proposta è la costruzione di adeguati percorsi e strumenti di orientamento già a partire dal primo ciclo di istruzione». Come emerso dall’ultimo rapporto Invalsi, i dati sui divari territoriali mostrano forti evidenze di povertà educativa soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, dove le scuole hanno una minore capacità di attenuare l'effetto delle differenze sociali, economiche e culturali fra gli studenti con effetti drammatici sull’acquisizione di competenze e quindi nell’accesso al mondo del lavoro. Nel giugno scorso sono arrivati alle scuole i primi fondi del Pnrr: 3.198 istituti scolastici hanno beneficiato di un contributo complessivo pari a 500 milioni di euro. «Le risorse della Missione 4 del Pnrr, Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado, che stanzia 1,5 miliardi di euro per il monitoraggio dei divari territoriali e la riduzione dei gap sull’acquisizione di competenze di base, non devono essere sprecate. Serve con urgenza una strategia che veda fianco a fianco le istituzioni scolastiche centrali e territoriali e le parti sociali. Il punto, tuttavia, è quello di evitare una dispersione di preziose risorse. L’arrivo dei finanziamenti alle scuole è stato corredato da un documento contenente alcuni orientamenti di carattere generale che, a detta degli esperti, non sono in grado di aiutare gli istituti nella definizione di progetti operativi e di indirizzare gli stessi verso una corretta ed efficiente gestione delle risorse. Molti istituti, infatti, registrano carenze nelle competenze progettuali. In questo caso lo strumento della co-progettazione col Terzo settore potrebbe arginare il rischio di una errata allocazione di risorse grazie a un confronto costante con gli attori del privato sociale e con gli enti locali».

Migliaia di offerte: Ferrovie dello Stato, Pqe Group, Gromia, Nestlè, Capetta

Investimenti da 190 miliardi di euro per lo sviluppo sostenibile di infrastrutture e mobilità, autoproduzione del 40% di energia e 40 mila assunzioni. Sono questi i numeri fondamentali della strategia delle Ferrovie dello Stato italiane. «La strategia del gruppo per i prossimi dieci anni è una strategia sostenibile. I nostri obiettivi di impresa sono obiettivi di sostenibilità del Paese, come lo shift modale delle merci», rivendica la presidente del gruppo Fs Nicoletta Giadrossi, indicando l'obiettivo di portare il trasporto su rotaia delle merci dall'11% al 30% nei prossimi dieci anni, con le connessioni end-to-end con interporti, terminali di stoccaggio e porti. Ogni tonnellata di merci trasportata su gomma emette nove volte le emissioni di carbonio che avrebbe prodotto se fosse stata spostata su rotaia. Giadrossi sottolinea come all'impegno ambientale si affianchino quello sociale e sulla governance. «La cura e l'attenzione alle persone - dichiara la presidente - è al cuore di quel che facciamo. La prima cosa è sicuramente la sicurezza delle persone che usano i nostri mezzi di mobilità e che lavorano con noi. Quella è la priorità su cui non ci sono restrizioni di budget né di risorse». Le altre priorità indicate sono la catena di fornitura, con l'obiettivo di valutare la sostenibilità Esg di tutti i fornitori entro il 2026, e l'incubazione di talenti, quindi welfare, formazione e percorsi di carriera per sviluppare nuove competenze dalla digitalizzazione alla gestione dell'ambiente, dall'ingegneria ambientale e delle infrastrutture alla comprensione dei rischi climatici. Per abbattere le emissioni, il gruppo prevede poi il rinnovo della flotta per il trasporto passeggeri e merci, con treni di nuova generazione. Nel prossimo futuro, entreranno in servizio 46 nuovi treni AV, 34 Intercity e 495 convogli regionali, più leggeri ed ecologici. E un rinnovamento radicale ci sarà entro il 2031, con 324 nuove locomotive elettriche, 68 locomotive diesel e ibride, 3.600 carri di cui 160 saranno consegnati già entro fine anno. Inoltre gli immobili dismessi delle ferrovie saranno al centro di progetti di rigenerazione urbana per dare alle città nuove aree ciclopedonali, spazi verdi, luoghi di aggregazione e infrastrutture per la mobilità sostenibile.

Pqe Group, società che opera nell'ambito delle scienze della vita, ha fatto circa 600 assunzioni nel 2022 per un 30% in più dell'organico, ma l'obiettivo è quello di arrivare entro la fine dell'anno ad avere 2mila dipendenti nel mondo. «Nel 2022 abbiamo fatto circa 600 assunzioni - sottolinea Gilda D'Incerti, ceo e fondatrice di Pqe Group -. Siamo arrivati a 1.600 persone, con un aumento significativo del 30% circa, e speriamo di arrivare a 2mila per la fine dell'anno o l'inizio del prossimo anno. Abbiamo 19 sedi nel mondo e recentemente abbiamo aperto due sedi importanti, in Argentina e Australia e abbiamo dei grossi progetti per il prossimo anno, quindi continua sempre di più il nostro impegno nel diventare una impresa glocal, che pensa globalmente, ma lavora localmente».

Gromia, la start up che grazie a evoluti algoritmi di Machine Learning e di Intelligenza Artificiale rende il processo di vendita e acquisto di una casa totalmente digitale, smart e trasparente, è alla ricerca di 300 agenti immobiliari in tutta Italia. La società Proptech ha deciso di investire massicciamente per rafforzare la sua presenza nelle principali città italiane e ha appena lanciato un’importante campagna di recruiting. Oggi i dipendenti sono sei e 20 agenti immobiliari 3.0. Lavorano totalmente in modo smart: non è infatti necessario andare in ufficio o andare a “fare zona” suonando i citofoni rispettando rigidi orari lavorativi. Gli agenti lavorano in smart working senza orari e senza vincoli, possono utilizzare quando vogliono uno dei tanti uffici di cui Gromia dispone in ogni città, per incontrare i clienti e per le riunioni di team, compilano incarichi e proposte direttamente dal loro laptop e utilizzano la firma elettronica per la firma: sono agenti di nuova generazione e rappresentano quello che si definisce il nuovo agente immobiliare digitale. Gli interessati possono candidarsi sulla sezione del sito dedicata https://www.gromia.com/diventa-agente/ e compilare i form.

Nestlé annuncia un investimento di 7,5 milioni di euro finalizzato all'installazione di una nuova linea di produzione presso lo stabilimento Perugina di San Sisto, nel capoluogo umbro, che entrerà in funzione a partire dal 2024. Come confermato ai sindacati, l'impianto sarà principalmente dedicato a prodotti a vocazione internazionale, rivolti allo sviluppo del mercato estero. La nuova linea consentirà un aumento della capacità produttiva della fabbrica di circa 1.000 tonnellate e permetterà l'assunzione di nuovo personale (tra cui meccatronici, ingegneri meccanico-gestionali e manutentori). «Il nuovo impianto e il continuo aumento dei volumi produttivi registrato negli ultimi anni - sottolinea l'azienda - dimostrano che il piano di ammodernamento dello stabilimento di San Sisto, con un investimento di 60 milioni di euro nel triennio 2016-18, e la scelta di concentrare la produzione sui prodotti più in linea con i mercati internazionali, si siano rivelati vincenti». «Questo nuovo e importante investimento - commenta Marco Muratori, direttore dello stabilimento Perugina di San Sisto - conferma il ruolo cruciale che lo stabilimento di San Sisto riveste nelle strategie di crescita di Nestlé. La fabbrica rappresenta l'hub internazionale e il polo produttivo​d'eccellenza del cioccolato di tutto il Gruppo, con il 60% della produzione destinata all'export. La fabbrica continua a crescere ed è destinata a diventare sempre più protagonista sul mercato globale, con un impatto diretto anche sull'occupazione del territorio, grazie alle nuove assunzioni che si renderanno necessarie a seguito dell'apertura della linea produttiva». ​

Invitalia ha approvato l'investimento di circa 14 milioni di euro presentato nel Contratto di sviluppo da Capetta i.vi.p spa, azienda che opera nel comparto della produzione e commercializzazione di vini bianchi, rossi e spumanti. Il Programma di Sviluppo Industriale prevede, entro il 2023, l'ampliamento della cantina di Santo Stefano Belbo (Cuneo), mediante la realizzazione di una nuova linea di imbottigliamento di spumanti e vini fermi, di una barricaia per l'affinamento e di locali di servizio. È prevista inoltre l'acquisizione di impianti industriali specifici della linea vini e della linea spumanti oltre all'installazione di una nuova piattaforma informatica per la gestione di tutte le attività dello stabilimento. I principali obiettivi dell'azienda sono l'incremento della capacità produttiva dello stabilimento, la riorganizzazione complessiva della struttura e l'innovazione del processo produttivo con lo scopo di consolidare e incrementare i volumi di materia prima trasformata, l'ottimizzazione della fase di stoccaggio e il controllo di ogni fase del ciclo produttivo. L'investimento avrà importanti ricadute oltre che economiche, dirette e indirette, anche sociali prevedendo tra l'altro anche l'assunzione di 12 nuovi addetti, con un impatto occupazionale sul territorio come prevede lo stesso Contratto di sviluppo.