Aree interne. In Barbagia perse le fabbriche restano solo i pannelli solari
Percorrendo la 129, che porta da Tossilo, la zona industriale di Macomer, verso Ottana, lo sguardo scivola su un’immensa pianura. Ma quella foschia non è smog. Siamo in piena Blue zone, uno dei cinque territori meno inquinati del Pianeta. Non appena la nebbia si solleva, appare anche una immensa rete di muri a secco. Delimitano campi che non vedono il grano da diversi lustri. Insomma, entriamo nel nulla. A perdita d’occhio. La regione dell’ex contratto d’area della chimica oggi è un deserto industriale. Al centro, Ottana, il buco nero del sogno industriale che iniziò alla fine degli anni Settanta con il flop di Rovelli e proseguì coi polimeri, passati di mano in mano, fino alla chiusura delle fabbriche. È stato come sfogliare una margherita nera, intorno alla centrale elettrica del gruppo Clivati, che le ha tentate tutte per mantenere le produzioni nel “catino”. Iniziando a investire, dal 2011, nell’energia solare, l’unica materia prima che arriva sull’isola senza traghetto. Secondo i dati della Commissione Europea, questa è una delle aree del Mezzogiorno in cui conviene di più investire nel fotovoltaico. Non sorprende che il socio di Indorama sia al centro del network che sta piastrellando di silicio il pianoro. Graziella Green Power ha creato il più grande parco fotovoltaico, secondo solo a quello che sarà installato l'anno prossimo da Acea Solar. Un Eldorado, insomma. Eppure, c’è chi teme che il nuovo sogno industriale sardo non sarà dei sardi.
Giovanni Bitti guida la Sigma, uno degli stabilimenti della zona industriale di Tossilo. È il presidente di Confindustria Nuoro. Il nocciolo duro dell’organizzazione sono piccole e medie imprese. Chi lo ha eletto vive quindi di piccoli ordinativi e deve competere ogni giorno con i costi della materia prima, le bollette e i collegamenti con il continente. Inesistenti. Non a caso, i numeri dell’industria nuorese sono da funerale. Negli ultimi 15 anni il settore manifatturiero è crollato del 40%, attestandosi a 340 milioni di euro contro gli 800 del 2005. Il Pil (3,5 miliardi) ne fa una delle province più povere del Paese. Il reddito pro capite? 13.700 euro, il più basso in Sardegna. Davanti ai soci della confederazione, Bitti ha parlato di una Sardegna centrale «fuori dai radar della Regione e della politica».
Isolamento logistico e desertificazione industriale nella Sardegna centrale sono fenomeni talmente evidenti da rendere incredibile una inversione di tendenza. Il tessuto produttivo è debole: delle oltre 27mila imprese locali (15,8% di quelle sarde), l’83,3% è costituito da microimprese con meno di dieci dipendenti (solo il 10,9% sono società di capitali), concentrate in agricoltura e con una scarsissima propensione a fare rete. Quasi una persona su due non lavora né cerca un’occupazione: il tasso di inattivi (41%) è il più alto dell’isola. I pensionati sono 92.000 e gli occupati ventimila meno: un’economia morente.
Bitti brinda allo scampato pericolo della prima Zes, che escludeva diverse aree del Nuorese. «Nulla si sarebbe fatto per il marmo di Orosei». Il presidente plaude alla neonata Zes unica per il Mezzogiorno, ma precisa che, in assenza di specifiche premialità, «gli investimenti si concentreranno sulla costa». In vent’anni i residenti tra 18 e 34 anni sull’isola sono scesi di 166mila unità. Meno abitanti vuol dire meno elettori e meno eletti significano un minor peso nelle scelte regionali e nazionali. La prova lampante che il Nuorese è stato dimenticato è la ferrovia a scartamento ridotto. Sferraglia ancora in Barbagia e solo qui. Per raggiungere Cagliari, arrivati a Macomer, bisogna scendere dal treno per salire sui vagoni di Trenitalia: «Il governatore Solinas ci deve spiegare perché per andare da Nuoro a Cagliari ci dobbiamo mettere ancora sei ore» sbotta il presidente. La provincia si trova al 97° posto in Italia per dotazione infrastrutturale e anche il treno del Pnrr è stato perso. Analogo discorso per i fondi della programmazione regionale, che Confindustria ha ribattezzato la «grande bufala delle giunta Cappellacci, Pigliaru e Solinas».
A conti fatti, l’unica industria che cresce in quest’area è quella delle energie alternative. Genera tanti profitti ma pochi posti di lavoro. Il tema energetico è centrale nel dossier “Quale industria” della Cisl sarda. Il sindacato chiede che «un phase out dal carbone si traduca in un vantaggio per i cittadini». Si vorrebbe discutere di canoni di concessione, quote parti a beneficio del territorio e compensazioni varie... Intanto, i pannelli si moltiplicano. L’anno prossimo entrerà in funzione il parco di Acea Solar. Con i suoi 85MW sarà il sito più grande in Sardegna e tra i più grandi in Italia: 140 ettari. Si distinguerà per un sistema di accumulo da 10MWh che erogherà energia nelle fasi della giornata prive di irraggiamento solare. Tutto molto green, ma poco sardo. Il parroco di Ottana don Pietro Borrotzu guarda al futuro con concretezza nuragica: «tutto questo silicio dove prima c’erano grano e greggi quanti posti di lavoro porterà? L’energia elettrica costerà di meno in Sardegna? Quali opere compensative saranno realizzate?»