Occupazione. Edilizia, servizi di cura e agricoltura: i lavori che cercano immigrati
La colpa non è degli stranieri che "rubano" il lavoro agli italiani, ma della crisi che ha accelerato il processo di precarizzazione e peggiorato le condizioni complessive, soprattutto per i giovani. A smontare quella visione ideologica, troppe volte sventolata ad arte da alcuni partiti, ci sono i numeri da una parte e la logica dall’altra. I due mercati del lavoro sono complementari e di fatto separati. Gli stranieri, sotto-pagati e sovra-qualificati, accettano condizioni di lavoro che chi è nato in Italia non prende nemmeno in considerazioni. E le motivazioni sono ovvie, legate all’estrema necessità e alla mancanza di una rete familiare e sociale. Il problema semmai è che nel nostro Paese l’aumento dell’immigrazione è coinciso con l’inizio della crisi nel 2008, creando un generale peggioramento retributivo . Due fenomeni paralleli, ma non connessi. Il rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali su «Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia» presentato lo scorso luglio fornisce una fotografia precisa dello stato dell’arte.
Gli occupati stranieri sono 2,4 milioni (su una popolazione che supera i 5 milioni) la loro incidenza sul totale degli occupati è pari al 10,5%. Più del 70% è impiegato con una posizione di operaio a bassa qualifica, edilizia in testa. Gli altri due settori predominanti sono il lavoro domestico e di cura, soprattutto in coabitazione con i datori di lavoro, e l’agricoltura che rappresenta forse l’anello più debole visto che, soprattutto nelle regioni del Sud, quello agricolo è un ambito dove la metà dell’occupazione è completamente in nero. Si tratta di situazioni al limite della schiavitù. Tra gli aspetti interessanti c’è il fatto che la retribuzione media è inferiore del 35% a quella degli altri lavoratori ma anche il livello di sovraqualificazione: la metà dei laureati in discipline scientifiche svolge mansioni a bassa qualificazione (tra gli italiani solo l’1,8%). In generale il 10,9% degli immigrati possiede una laurea contro il 23,6% degli italiani. Alle tradizionali linee di segmentazione del mercato del lavoro per sesso ed età e per aree geografiche (Nord-Sud) adesso se n’è aggiunta una quarta che ha a che vedere con l’appartenenza etnica o nazionale.La crisi ha "tagliato" i posti di lavoro per gli italiani, ma ha inciso molto più pesantemente sulle condizioni degli stranieri.
Dal 2008 al 2017 il tasso di occupazione degli immigrati è sceso dal 68,8% al 61,8% mentre quello degli italiani è rimasto praticamente stabile passando dal 58,2% al 58. Questo significa che l’aumento della disoccupazione italiana non è dovuta all’arrivo dei migranti, ma a variabili puramente economiche. Gli stranieri hanno pagato un prezzo ancora più alto considerando che la crisi ha penalizzato i lavoratori maschi con un basso titolo di studio, con situazioni drammatiche al Sud.Un’altra riflessione da fare è che ci sono una serie di lavori che gli italiani si rifiutano di fare. Quali? Quelli domestici innanzitutto: il 69% delle colf e il 59,6% delle badanti sono straniere, molte arrivano dall’Est. Ma anche i venditori ambulanti (46,8%) e i braccianti agricoli (32%). La disoccupazione giovanile è ai massimi storici (sopra il 31%) ma questo non spinge le nuove generazioni ad accettare qualsiasi occupazione. Il settore dell’edilizia è ritenuto troppo pesante, così come – per gli orari e per il lavoro festivo – quello della ristorazione e della panificazione. Infine un elemento da tenere in considerazione, evidenziato dalla Fondazione Moressa, è che a fronte dell’invecchiamento della popolazione gli stranieri contribuiscono a rimpinguare le casse dello stato pagando le tasse e versando contributi sia pure in quantità minori rispetto agli italiani in quando hanno redditi assai più bassi. Dichiarano attualmente 27,2 miliardi di euro di reddito e versano 3,3 miliardi di Irpef e 11,9 miliardi all’Inps.