Beni comuni. Il valore nascosto della sabbia. Allarme per esaurimento scorte
Che cosa faremmo senza l’aria, l’acqua e… la sabbia? Semplice: non ci saremmo. Senza l’aria e l’acqua non dureremmo che pochi minuti o pochi giorni – a seconda dell’elemento – ma senza la sabbia e i suoi granelli leggeri e resistenti non esisterebbe la maggior parte di ciò che ci circonda. Non ci sarebbero le città moderne con i grattacieli dalle solide fondamenta in cemento, le villette con garage e vialetto, i terreni artificiali e le strade asfaltate; non avremmo i chip dei computers e degli smartphones, né la ceramica che utilizziamo per i sanitari, il vetro per le finestre, i bicchieri e gli specchi (ma anche per gli obiettivi delle macchine fotografiche e delle telecamere, per le lenti degli occhiali e dei cannocchiali, dei microscopi e dei telescopi) e nemmeno le fibre ottiche, le produzioni metallurgiche, il silicone. Senza sabbia, insomma, non ci sarebbe la civiltà contemporanea. Non ce ne rendiamo conto, non pensiamo mai alla sabbia se non quando ci troviamo con i piedi sprofondati nella sua inconfondibile sofficità, ma di lei non possiamo ormai più fare a meno. Questo aggregato di minerali e rocce è, infatti, la risorsa che sfruttiamo di più dopo l’acqua; ogni anno, nel mondo, consumiamo quasi 50 miliardi di tonnellate di sabbia e ghiaia, elementi naturali che, insieme, compongono il calcestruzzo: in soli ventiquattro mesi, tra il 2011 e il 2013, la Cina ha usato questo agglomerato più di quanto non abbiano fatto gli Stati Uniti nell’arco del ventesimo secolo. Con la sabbia i cinesi hanno stravolto paesaggi e stili di vita, hanno trasformato campagne e foreste in brulicanti metropoli zeppe di Co2 e costruito svariati milioni di chilometri di strade asfaltate, dighe, aeroporti, oltre a centinaia di migliaia di chilometri quadrati di parcheggi. Ma le massicce colate di cemento imperversano ovunque, in ogni continente: nell’Estremo e nel Medio Oriente, in Africa, nelle Americhe, nella nostra Europa; dove prima c’erano luoghi inabitati, addirittura ai margini del deserto, ora ci sono grandi città con tanti grattacieli in vetro e ampie strade asfaltate. E sono getti destinati ad aumentare specialmente nei Paesi emergenti dove, in base ad una stima dell’Onu, entro il 2030 si registrerà la maggiore concentrazione di megalopoli nel globo. Una decina di anni fa lo storico Robert Courland aveva messo nero su bianco che «per ogni persona sul Pianeta esiste un equivalente di quaranta tonnellate di calcestruzzo e ogni anno che passa si aggiunge una tonnellata in più a persona». Tuttavia c’è un 'però', anzi, ci sono molti 'però', mette in guardia Vince Beiser, il pluripremiato giornalista americano autore dell’avvincente saggio 'Tutto in un granello. Come la sabbia ha trasformato la storia della civiltà', pubblicato da Aboca edizioni con la preziosa traduzione di Laura Calosso. «Che ci crediate o no, stiamo iniziando a esaurire le scorte. Oggi c’è così tanta richiesta che il letto dei fiumi e le spiagge di tutto il mondo vengono spogliati dei loro preziosi granelli. I terreni agricoli e le foreste vengono distrutti. E la gente viene imprigionata, torturata e uccisa». Proprio così: l’inesauribile domanda di sabbia – una risorsa che vale più del petrolio e che ha tempi di rinnovamento millenari – ha effetti deleteri sull’ambiente e sulla vita delle persone. Intorno alla sabbia ruotano cambiamenti climatici, mercati neri, governi corrotti, persino mafie, come accade in India, dove le cronache degli ultimi anni hanno riportato le notizie di centinaia di persone uccise o torturate solo per aver cercato di impedirne l’estrazione illegale e il contrabbando. «Quasi nessuno pensa da dove viene o cosa si fa per ottenerla. Però, in un mondo di 7 miliardi di individui, in cui sempre più persone vogliono appartamenti in cui vivere, uffici in cui lavorare, centri commerciali in cui fare acquisti e telefoni cellulari con cui comunicare, non possiamo più permetterci il lusso di usarla». Per l’autore, una soluzione potrebbe arrivare dall’incremento della sharing economy e della sua circolarità virtuosa: per esempio, la diminuzione delle auto di proprietà porterebbe a una differente progettazione delle abitazioni (senza più garage), l’incremento degli AirBnB eviterebbe l’edificazione di nuovi hotel con annessi vialetti e parcheggi, «e se abbiamo meno bisogno di nuovi edifici, l’espansione delle città potrebbe rallentare... Una volta sembrava che avessimo a disposizione una tale quantità di (risorse) che non avremmo mai avuto bisogno di preoccuparcene, ma naturalmente oggi stiamo imparando a fatica che nessuna (di queste) è infinita », sono le conclusioni di Beiser. Per questo «dobbiamo imparare a conservare, riutilizzare, trovare alternative», anche per riuscire a «costruire la vita di 7 miliardi di persone su fondamenta più solide della sabbia».
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